Tre ristoranti, tanti vini e qualche ragionamento

Nel giro di dieci giorni sono andato a mangiare in tre ristoranti, uno diverso dall’altro; ho parlato amabilmente con tanta gente, bevuto molti vini di diversa natura, gustato piatti differenti, sviluppato ragionamenti vari. Ma da dove inizio?

Inizio dal Ristorante dei Pescatori di Piode, Valsesia, provincia di Vercelli, Piemonte. Un ristorante di montagna, classico nello stile (legno, caminetto, atmosfera calda… però tavoli tondi, bel tovagliato…) ma condotto con originalità dal signor Augusto. Il quale ci ha preso nella sua tela: faccio io? Vi fidate di me? Trappola scattata. In compenso ci ha fatto mangiare molto bene: Flan di trota con salsa zafferano, Terrina di coniglio all’aceto balsamico, Tortino di polenta con funghi e petto d’oca, Risotto con i rognoncini, Guanciale di vitello stufato al gattinara docg, dolce (buono, ma non me lo ricordo). Che dire della cucina: ottima, creativa ed inaspettata colà, lungo le rive del tuonante Sesia. Ma ancora più sorprendenti i vini proposti: un Poully Fumé del ’97 Barondel, che profumava di mallo di noce e di minerale. Un po’ vecchio e leggermente amaro in bocca. Buono, comunque, pensando all’età; a seguire un Grignolino 2001 della Tenuta Gainano (14,5°) Vigna del Convento. Un po’ chiuso al naso, ma in bocca morbido e piacevole. Altra sorpresa; terzo vino: un Pinot Nero Val di Cembra Rojer e Sandro Besler, annata 2000, con buoni profumi di pepe, prugna secca e di spezie. Corposo e piacevole in bocca. L’età? Solo un poco di amaro sul fondo. Ottimo; quarto vino: un cabernet Sauvignon Sella e Mosca del 1987, Marchese di Villamare, dal profumo di peperone verde/foglie di pomodoro. In bocca un po’ allappante (dopo tutti questi anni?), ma nel complesso equilibrato e dal particolare gusto che ricorda il tabacco; a seguire il Cuntacc di Michele Chiarlo, annata ’99. Un taglio di nebbiolo e cabernet sauvignon dai 13,5°. Un buon vino che si ricorda piacevole; per finire: un vino da tavola valdostano, Le Prisonier Anselmet (15°!) e un Forteto della Luja passito del ’99 che ottimamente ha chiuso la carrellata di vini “vecchi” che tanto ad Augusto piacciono. Morale: la passione e il gusto personale (anche nella scelta dei vini) fanno la differenza. Anche in luoghi romiti come Piode (bel posto, fra parentesi).

Poi sono stato da Gualtiero Marchesi ad Erbusco, a L’Albereta. Franciacorta. Locale di gran lusso. Lui è un vero e proprio maestro: gentile, disponibile, conscio della sua preparazione… non parla male dei suoi colleghi. Anzi ha elogi per tutti. Ci ha fatto accomodare nella bella sala a tavoli tondi, con cucina a vista. Anzi incorniciata, quasi come un grande quadro. Bel tovagliato, con piatti e posate disegnate dal Maestro. Sobrie nelle forme ma barocche negli utilizzi (cucchiai, coltelli vari, forchette… per ogni utilizzo…). Abbiamo mangiato Insalata di spaghetti al caviale, erba cipollina; Zuppa di lenticchie di Castelluccio; Caponatina fredda di melanzane con gamberi; Arrostino di vitello col suo sugo, piccola insalata e senape; Uova alla neve. Una cucina che tradisce il ritorno marchesiano alla cucina tradizionale, ma senza rinunciare alla creatività, alla preziosità e al tocco personale: ogni piatto aveva un particolare che lo rendeva differente. La carne, ad esempio era servita con alcuni grani di sale grosso. Piccole esplosioni di sapidità. I vini? Uno champagne 1996 Bruno Paillard, che aveva al naso sentore di nocciola tostata, caffè… frutto di una lunga permanenza sui lieviti. In bocca equilibrato. Asciutto; poi uno Chardonnay Vigna Leone 2004. Ottimo con profumi di fiori/frutti esotici, in bocca equilibrato e piacevolissimo; ancora un Casotto 2001 Ca’ del Bosco, dalla barrique ben presente, ma poi profumi di frutta rosa e di spezie. Forse un po’ troppo alcolico al naso. In bocca magro con buona acidità; per finire un Pinodosé Contadi Castaldi. Vino passito. Morale: che la classe non è acqua, Se uno ragiona, si appassiona, prova e si confronta, dà soddisfazione ai suoi clienti.

Terza sosta ritorativa. Al Ristorante Riviera di Pettenasco. Lago d’Orta. Un bel Hotel con ristorante vista lago. La serata era memorabile. Un micologo (cioè un “fungiatt” studiato) aveva selezionato decine di sconosciute ed inutilizzate tipologie locali di funghi e li aveva proposte alla cucina. Una goduria: mangiare ciò che per anni si era solo calpestato camminando nei boschi. Un menù memorabile fatto da: Insalatina di funghi e grana padano, Voul au Vent con crema di funghi. Tagliolini con funghi e olio al tartufo, Risotto alla boscaiola, Fagottini all’Ossolana con patate brioche e zucchine a ventaglio. Vini: un Colline Novaresi Bianco del 2005, Azienda Agricola Rovellotti di Ghemme e un Sizzano 1999 di Bianchi. Cosa dire della cucina? La sorpresa dei funghi era stupefacente. Tale si è mantenuta nell’Insalatina,. Ma già nei Tagliolini e nel Fagottino Ossolano la predominanza della panna spegneva un po’ il tutto. Cioè, i sapori si mescolavano, senza farne esaltare uno in particolare. Il Risotto, poi, aveva subito un attacco di glutammato da Sindrome da Ristorante Cinese. Bha!? La delusione mi ha fatto anche valutare male i due vini: troppo molle il bianco e troppo ossidato il rosso. Morale? Hanno ragione coloro che dicono essere le materie prime il segreto del buon cuoco. Però, se poi si usano trucchettini da ristorazione pullmanesca, si rovina il tutto. E non c’è pubblicità che tenga: il dado non è il segreto di un buon cuoco. È solo uno strumento da usare “cum grano salis”. E i vini? Li riassaggerò, in altra occasione.

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