Scioglilingua gastronomico: Paniscia, Panissa o Paniccia?


Il nostro viaggio in un angolo della storia, inizia al Carnevale di Varallo Sesia. Lì, il martedì grasso, viene preparata da secoli, e da sempre distribuita gratuitamente, la Paniccia: un sostanzioso minestrone di riso e verdure cotto sul fuoco dentro enormi pentoloni. Da questo gesto di felicità comunitaria (ricchi e poveri allo stesso desco), tipico di molti carnevali e di molte altre ricorrenze, si dipana un filo gustoso che ci porta a conoscere altre tradizioni gastronomiche. Qui si tratta di un mix di riso, verdure, carne, fagioli e salame della duja (un’olla in cui si tenevano sotto grasso).
Ma se si scende un poco più a sud della Valsesia si trova la quasi omonima, ricetta vercellese della Panissa: sempre un minestrone di riso, più risotto che minestrone, in cui però prevalgono i fagioli (magari quelli dop di Saluggia), senza verza, né pomodoro, cotenne e salame della duja. Tanto pepe sopra.
Un po’ più ad est, poi, si può assaggiare la Paniscia novarese. Altro risotto corposo, in cui però predominano le verdure ed in primis la verza. Meno fagioli ma sempre salame della duja, ma anche fidighina, calorie calde… piacere invernale. La Paniscia si trova qua e là, con inevitabili varianti, anche in altre zone del Piemonte. Probabilmente portata colà dalle mondine: lavoratrici stagionali nelle risaie della Bassa.
Il nome di queste preparazioni, e di altre che si trovano in Italia, tipo la Paniccia ligure, sembra derivare dal “paniculium”, il panico che è un cereale antico, probabilmente base di preparazioni simili e poi sostituito dal riso. O dalla farina di ceci. La preparazione rimane, cambiano gli ingredienti.

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