Santhià

Sabato sono andato a Santhià, città con cui ho un curioso legame. Era per me una città “invisibile”, di cui avevo sentito parlare da una mia lontanissima fidanzatina del mare (di cui ricordo solo la texture della sua pelle e la nostra intimità). Poi, prima grazie alle Pro Loco ed ora grazie all’associazione Maresca onlus con cui collaboro, la conosco abbastanza bene. La città credo sia uno dei luoghi più noiosi e apparentemente meno interessanti del nord Italia. Nonostante tutto ciò l’ammiro ed ammiro le associazioni locali, perché appena si scende dal treno un cartello nel sottopassaggio ferroviario ti dice cosa puoi fare in 6 ore a Santhià. Non molto tempo, ma mi piace l’onestà intellettuale di chi ha messo il cartello (Pro Loco o Comune? Chi?). Non ti dico un fine settimana, ma sei ore. Questo noi siamo. Onesti. Poi nel sottopassaggio c’è un bel cartello con un disegno di Nespolo sul famoso (questo sì) Carnevale di Santhià. Nel Centro poi (una lunga via e un paio di piazze, poco più) molti cartelli illustrativi di case e palazzi storici, misteriosi tondi di metallo a terra. Hanno valorizzato la via Francigena ed hanno anche un posto tappa. Bravi. Mentre cammini nel centro vedi molte vetrine vuote (come ovunque) e un solo locale degno di nota: la pasticceria Pasqua che ti offre spazi moderni, buoni dolci, pranzi veloci, buon vino… Una volta ho pranzato nell’albergo davanti alla stazione: mi è piaciuto soprattutto per l’atmosfera un po’ agée che promana da ambiente e piatti. Ci ho anche dormito e il viaggio modernariato è proseguito… Poca roba direi, sei ore o poco più. Ma l’onestà intellettuale e la capacità di valorizzare i piccoli tesori locali sono encomiabili, esemplari. Santhià mi ricorda il cofanetto di nonna: pieno di chincaglieria ma anche di tanti, piccoli tesori. Niente che ti cambi la vita, ma piccole scoperte.

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