Prosciutto Vigezzino: accuse e risposte…

Qui i toni sono più accesi: "Le scrivo per replicare alle sue affermazioni rivolte all’assaggio di alcune fette di prosciutto crudo che l’hanno autorizzata ad emettere una serie di critiche sotto forma di punto interrogativo, non supportate da alcuna conoscenza del settore (o almeno così traspariva). Poca conoscenza che potrebbe essere giustificabile ma assolutamente non tollerabile se espressa rivolgendosi con termini accusatori e strafottenti indiscriminatamente contro tutta una categoria di produttori locali. Sarebbe stato corretto e doveroso informarsi e documentarsi adeguatamente prima di sentenziare banalità contro aziende con esperienza generazionale che lavorano nel rispetto delle norme e sottoposte a continui controlli sanitari.

Le ricordo che le sue affermazioni sono state riportate sul settimanale locale Eco Risveglio, provocando danno d’immagine per la nostra azienda… Per concludere la saluto ricordandole “viva la libertà di stampa purchè veritiera ed intelligente!!!". Sì, viva e viva anche la libertà di critica…

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2 thoughts on “Prosciutto Vigezzino: accuse e risposte…

  1. Giustamente, si è liberi di scrivere qualunque cosa vogliano gli altri. Ho letto sia il tuo articolo sul prosciutto della Val Vigezzo, che la risposta della produttrice. Questo è il modo in cui i produttori, di qualunque cosa intendo, dai mobili al vino, dovrebbero rispondere.
    Solo che sono abituati a farsi fare articoli compiacenti dalle guide di riferimento e dai giornali locali, che naturalmente si guardan bene da scrivere alcunché sia minimamente negativo.
    A me è capitato dopo la recensione sulla manifestazione del Lugana DOC a Roma, una email che però mi è stata girata da un conoscente senza che il mittente abbia avuto il coraggio di inviarla personalmente.
    Fortunatamente capita anche di scrivere solo per il gusto di farlo e per poter dire ciò che si pensa.

    Rolando

  2. Ma sì, la situazione è da anni Sessanta. Hanno una tradizione locale: una piccola piantina, la fanno crescere un poco e poi la tengono così, senza azzardare oltre. Uno, due o più che registrano dei marchi con riferimenti geografici (ma lo possono fare? hanno valore legale? uno si può "impadronire" di un bene collettivo? boh!?) e qualcuno d'altro che si accoda senza troppo pensarci. Il business è piccolo, ma i turisti e i ristoranti ci sono. Chi è onesto produce con un suo metodo, ma chiunque potrebbe farlo (e magari senza un metodo). I dubbi crescono e le risposte non soddisfano… perché non optare allora per una certificazione esterna: una deco, la registrazione alla camera di commercio o una igp, che chiarisca il tutto e aiuti i consumatori a comprendere? Forse perché le igp non fanno vendere di per sé? Per pigrizia mentale, consuetudine, mancanza di volontà… ? ciò non blocca però le domande e i dubbi. E poi, senza igp, chi garantisce che uno, un grosso salumificio, non si metta a produrre prosciutto stile Vigezzo o similari? Chi glielo potrebbe impedire? I marchi registrati o cosa?

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