Capire le Parole del Vino

Prendo a prestito un articolo de “Il Gambero Rosso” per fare un esame del rapporto fra vino e parole. Un rapporto spesso difficile. Leggiamo: “Molti bianchi “naturali” hanno un colore più intenso, più ambrato e buccia di cipolla”. Fin qui facile. Magari giova ricordare quale è il colore “buccia di cipolla”. Questo.

Andiamo avanti: “Perché non sono filtrati, o filtrati in modo non sterile, non sono chiarificati e hanno qualche giorno di macerazione sulle bucce”. Ok, chiaro. Ma poi si prosegue: “Sono vini materici (e che significa? ndr), vivi (cioé? ndr), non necessariamente aromatici (cioè non hanno profumo e/o retrogusto?), anzi, più secchi e più gastronomici (questa la so: adatti al cibo, alla tavola!), sapidi, minerali”. Leggiamo ancora: “I rifermentati sono bollicine senza aggiunta di lieviti e zuccheri, con meno pressione e più personalità. L’ossidazione non è più un tabù, come un po’ di volatile. I rossi si sono alleggeriti e inselvatichiti (cioè?). Hanno perso concentrazione, sanno più di uva che di vaniglia e caffè, sono vini da bere e non da degustare. Hanno rivalutato l’acidità, la freschezza, a danno della morbidezza”. Più chiaro che meno. Continuiamo la lettura: “Nelle nuove enoteche “naturali” si fa ormai fatica a trovare i grandi vecchi ed è un peccato: il Barolo, il Brunello, l’Amarone. I giovani li snobbano. Vogliono vini salutari (cioè? ndr), poco alcolici, poco tannici. Bevono con più piacere un Bardolino Le Fraghe o un Lezèr di Forador. Intanto, ingrugnita, la vecchia guardia scuote la testa e ripete: i vini naturali non esistono. Quando scopriranno che esistono, eccome, forse sarà troppo tardi”.

Un linguaggio facile o difficile? Non so. Però sia detto che “Il Gambero” è un giornale serio e fatto da giornalisti veri e non da novelli poeti dadaisti…

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