Il Vino Senza Camicia

Il vino senza camicia

Facciamo finta di nulla, ma in Bangladesh, in una fabbrica-condominio-formicaio-moderno schiavismo, sono morte oltre mille persone: un paese. Una cittadina di orfani, vedovi e genitori senza più figli. Una metropoli di dolore senza speranza. Qua e là, fra le macerie, spuntano nomi noti o meno della moda internazionale, dei loghi cari ai bimbi, dell’industria delocalizzata e senza radici della modernità. Facciamo finta di nulla, ma qualcuno in più leggerà l’etichetta prima di comprare un marchio. Oppure comprerà altro, perché tanto è tutto fatto in un là mixato di Cina, Indonesia, Myanmar, Bangladesh appunto… E così i loghi, le griffe italiane si suicideranno. La bella tradizione artigianale, artistica italiana distrutta.

Chissà, ma io ho paura che anche il vino potrebbe fare la stessa fine. Da una parte, infatti, la logica del “company brand” che porta con sé la logica del fornitore più economico, in Italia o all’estero. Prospettiva ancora lontana ma pensate un po’ cosa succederebbe se ci fosse il “Vino Rosso del Supermercato X” o il”Moscato del Supermercato Y”. Dall’altra parte, però, s’avanza una legione di prodotti anonimi, economici o meno, la cui natura misteriosa e assai miscelata potrebbe disincentivare i consumatori, far disamorare gli appassionati. Si deve infatti dare retta a chi dice che molto moscato ha come base del cortese “mutizzato”? O a chi dice che alla base di molto prosecco ci sono altri vini bianchi e non solo veneti? E così dicendo…

Mi auguro che siano solo dicerie, perché se fosse vero, e si scoprisse, crollerebbe un condominio di certezze e di correttezza commerciale. Farebbe molti danni.

 

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