Giù con Ulisse

Se immagino la fine di Ulisse, immagino un cerchio rosso, il segno del vino sulla tovaglia, il bicchiere sporco… c’era lei, c’è sempre lei che sviene alla vista (Ulisse sarà svenuto alla vista del mare che si apriva?) del segno rosso sulla tovaglia bianca. C’era lei che ricordava le mani tremanti, lo sguardo perso; il viso sudato sull’ultimo letto e lei bambina. E così ogni volta che vedo il cerchio del vino sulla tovaglia, la ricordo. E’ strano, sto ancora un po’ male: un vuoto aperto sul vuoto che arriva dal profondo, là dove Ulisse avrà preso coscienza di sé, di ciò che stava perdendo e perché. C’era una poesia che leggevo sull’antologia scolastica che ricordo ora, che ricordo da sempre. La scrisse Sanguineti, nome rosseggiante come il vino da lei poco amato:

Oh, dove (sulla spiaggia? dove?); (place-scene, plage-plage); dove cercarti,

adesso?… storditi ancora, quasi inerti: e pensare (dissi);

che noi (quasi piangendo, dissi); (e volevo dire, ma quasi mi soffocava,

davvero, il pianto; volevo dire: con un amore come questo, noi):

un giorno (noi); (e nella piazza strepitava la banda; e la stanza era

in un strana penombra);(noi) dobbiamo morire

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