Il sapore della luce

Il “sapore della luce”, pura poesia gastronomica, ricorda l’evanescenza del “raggio verde”: libro, film, fenomeno atmosferico… momento magico, raro, difficile da cogliere.

Di luce e di sapore parla Enrico Borio, del birrificio Beba di Villar Perosa (To), giunto fino a Verbania per inaugurare la spina de La Pesa (caricata con la Nr. 1). Ci dice che una bottiglia di birra, se lasciata alla luce prende un inconfondibile sapore “di luce”. Buono? No, non proprio. Nonostante il nome copiabile (mah, magari uno chef lo avrà già usato. Chennessò, Leemann), non è un buon sapore. Lo voglio comunque provare: metto una bottiglia di Menabrea “birra bionda”, 150° anniversario, sul balcone, alla luce e al sole e al caldo… un’altra, invece, la tengo in frigorifero. Tutto un giorno, poi, metto anche lei in frigo. E la sera dopo le stappo entrambe e le verso entrambe in due bicchieri da degustazione identici. Di cosa sanno? Sono diverse, anche se non sento nessun sapore “di luce”. Quella trattata è meno profumata di quella non esposta. Si sente il malto, si sentono le note caramellate ma sembra una tostatura più esacerbata; ha meno schiuma; meno profumi; ed in bocca è scipita, deprivata. Meglio quella senza “il sapore di luce” (che comunque non individuo e non comprendo): si sentono i cereali maltati, le note caramellate, bella schiuma, sapore più intenso… Meglio il sapore “senza luce”, ahimé, nonostante la poesia del nome!

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