C’è tokaji e tokaji

Il tokaji è un vino dolce, più o meno dolce, che arriva dall’Ungheria. Nella sua preparazione unisce la tecnica dell’appassimento con l’uso della bottrytis cinerea, la cosiddetta “muffa nobile” (ma cosa avrà mai di aristocratico?), all’uso dell’ossidazione con botti scolme: botti caratterizzate dalla fioretta. Un vino particolare di cui, confesso, conosco poco.
La prima volta che l’ho assaggiato, in Ungheria, una decina di anni fa, l’ho trovato cattivo: niente più che un vino dolciastro ed ossidato. Ma erano le ultime annate del vino da regime comunista (ma chi aveva voglia di lavorare bene? chi?). Poi l’ho assaggiucchiato qua e là, senza attenzione.
Un paio di settimane fa, ad una cena dell’Amira, un noto rappresentante dell’ais regionale, Otello, ce lo presenta con dovizia di particolari: “il tokaji –ci racconta- è un vino botritizzato… viene fatto con uve coltivate fra pianura (puzda) e colline; può essere secco, senza l’aggiunta di puttojons che è l’unità di misura, 25 chili di uva passa aggiunta ad ogni 140 litri di vino… il tutto lasciato a macerare per 48 ore e poi pressato e poi fatto fermentare lentamente, per la seconda volta, poi minimo un anno di botte grande e poi affinamento in bottiglia”. Il tutto, viste coi suoi occhi, fatto “in cantine umide ed ammuffite”. Il vino che se ne ricava è più o meno dolce in relazione ai puttojons aggiunti, al massimo sei, ha “profumi complessi, evoluti, terziari… ottimo l’abbinamento con il fegato d’oca (ma quello lo mangerei anche con il barbera)”. Quello che abbiamo assaggiato quella sera era un aszù (dolce) del 1996, tre puttojons, 12,1°, sette anni in botte grande: “si sente l’uva passa, il mallo di noci, il miele… quasi cento grammi di zucchero per litro di vino… il furmint, il vino base, dona al tutto una bella acidità”. Sennò sarebbe imbevibile, aggiungiamo noi. Buon vino, ottime spiegazioni. Magari un po’ esagerate, perché Otello il vino, quel vino, lo vende. Però un buon prodotto: molto meglio di quello post comunista assaggiato anni fa.
Due giorni dopo m’imbatto in un banchetto dell’ais ad Omegna. Stanno promuovendo un loro corso base, proprio nei giorni in cui ho programmato il corso sui vini sudafricani. Lasciamo stare. Mi fanno fare il gioco delle domande, guardandomi come se fossi una bestia pericolosa. C’è una domanda sul tokaji: quale è l’uva più importante nel taglio del t.? Rispondo il furmint e, subito, il presidente provinciale mi rimbotta come si fa con uno studente presuntuoso, alzando il dito destro: “no, è il… (e poi dice un nome che non ricordo). Incasso con il sorriso e penso che all’ais studiano su libri diversi o che hanno il gusto della contraddizione fine a se stessa… M’immagino che entrambi abbiano ragione. Sarà lasciata ai vignaioli la scelta. Forse loro non lo immaginano. Forse aveva voglia di dirmi che ne sapeva più di me. Non so.

Visite: 1677

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *