Con la testa o con il bicchiere?

“L’unica prova di cui disponiamo è quella che ci forniscono le nostre papille gustative, che però spesso, ahimé, sono più brave a registrare quello che ci piace pensare che la verità storica”: Luca, il suo maestro, sarebbe stato d’accordo con le parole di questo storico inglese, innamorato della cucina italiana; della società italiana. Luca, invece, era ed è innamorato del vino, di se stesso e della bella azienda da lui creata. Ma è un’altra storia. Riccardo gira rigira fra le mani il libro da cui ha tratto questa riflessione: “Con gusto”. Gira e pensa e ricorda quella volta in cui è stato invitato ad una degustazione dei Rotary, associazione assai snob. Tema: degustazione cieca di otto o dieci (non ricorda) fra gli champagne più blasonati, in Italia. Lui, invitato a parlare; lui che segna con diligenza le note di degustazione degli spumanti anonimi; lui che guarda gli altri parlottare e dirsi cose senza segnare nulla: questo è più buono? perché? bho!? mi piacciono quelli con tante bollicine!? Lui che allo svelamento sorride perché i più blasonati, il più blasonato è solo terzo o quarto… lui che ghigna quando la signorina davanti a lui, mentendo, smentendo la se stessa di qualche istante prima, dice che il tal numero, proprio quello champagne, è quello che le è piaciuto di più, che lo aveva riconosciuto subito… risate sottecchi e tanta faccia tosta. Il suo maestro avrebbe detto che la tal signorina –e anche altri in sala- bevono con la testa e non con il bicchiere. Vero!
L’altra sera, con Andrea, Monica, Andrea, Gianni e un non meglio identificato giovane tautatore; l’altra sera Riccardo è andato ad una serata di champagne ed ostriche e caviale e tante altre cose buone… Andrea gli ha messo in mano due bicchieri anonimi di champagne, invitandolo ad assaggiarli e dare poi un giudizio: erano un bicchiere di Champagne Cristal Brut Louis Roederer del 2000 ed uno di Champagne Liesse d’Harbonville cuvée del 1996. Il primo aveva bel perlage, profumi di lieviti – crosta di pane; note agrumate e lievissimi profumi terziari da ossidazione. In bocca era fresco, tanto, corposo ma nel complesso piacevole; niente però confronto il secondo che era dolce nei profumi di agrumi e di frutta maturissima, un po’ di legno e di aromi terziari completavano il ricco affresco dei profumi. In bocca era pieno, più equilibrato rispetto al primo. La freschezza, infatti, veniva bilanciata dalle note dolci (Maroni lo avrebbe certo descritto più poeticamente). Meglio il secondo. Ma chi lo avrebbe detto a quella signorina? Riccardo continua la lettura.

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