Acqua e vino (prima parte)

Premessa: ho realizzato questa breve “tesina” in questi giorni di piena estate utilizzando i miei libri (pochi, perché sono in vacanza) e la rete. Sapendo comunque bene dove e cosa cercare ed evitando siti decisamente vuoti, puri aggregatori di contenuti altrui. Nonostante la mia attenzione e la mia rielaborazione, non sono in grado di confermare la bontà di alcune ricette proposte. Se non quelle di Carmine Lamorte che so essere professionista serio e bravo. La mia non vuole essere una tesi esaustiva e neppure apologetica, ma solo argomentativa: cosa si può fare mescolando il vino con l’acqua (ma non solo). Molto e da molto tempo.

Coppie di fatto
Quando il Vino si mescola con piacere ad acqua, bevande gasate e liquori. E non parlare poi dell’aceto…
Fa un po’storcere il naso, ma mescolare acqua e vino funziona: funziona d’estate, quando si beve di più e si desidera meno alcol per non accaldarsi, per non sudare; funziona comunque sempre perché se il vino è buono regge l’acqua e anche allungato sentite profumi e freschezza e un po’ di gusto; se è cattivo ci mettete anche un liquore ed è fatta! Ma non è certo colpa dell’acqua o dei liquori se il vino è cattivo! Se allungate il vino con l’acqua, e siete dei professionisti, potreste tenere conto di alcuni consigli degli idrosommelier: “L’acqua, dunque, può essere astringente, e cioè lasciare la sensazione di avere la bocca asciutta dopo averla bevuta. Oppure può essere acida, se lascia un sapore leggermente acre, accompagnato da una sensazione di freschezza, o ancora aromatica, quando lascia un sapore di frutta o fiori. Se le differenti caratteristiche di gusto (sali, acidità, amaro, salato, dolce, effervescenza) sono in armonia e nella giusta proporzione tra loro, si dice che l’acqua sia bilanciata. Quando è corposa, o strutturata, invece, vuol dire che è consistente e pesante. Riconoscibile è quella calcarea, che deve il suo gusto alle particolari caratteristiche delle rocce da cui sgorga. È cartacea, se lascia un sapore secco o umido, come quello del cartone, ed è corpulenta (o grassa, o oleosa) se lascia una sensazione di vischiosità sul palato. Quando la bocca percepisce un senso di leggerezza, l’acqua è fresca, floreale quando si sente un leggero aroma legato a un fiore. Infine, il suo gusto può permanere in bocca per alcuni secondi dopo aver bevuto. In questo caso, lo si definisce lungo.”.
Capito? Poco. Cercherò di semplificare: un’acqua minimamente mineralizzata, magari senza bollicine, è adatta per non aggiungere nulla al vino (quelle che pubblicizzano con poco sodio, per capirci); un’acqua oligominerale o medio minerale o addirittura ricca di sali minerali aggiunge molto. Per cui, ad un vino già di per sé mineralizzato, sarebbe meglio non aggiungere un’acqua altrettanto mineralizzata. O viceversa. Poi, tenete conto che l’anidride carbonica aumenta le sensazioni tattili (il corpo) e fa virare verso l’alcalinità l’acqua. Ma sono sottigliezze. Di solito per tagliare il vino si usa l’acqua che si ha. Meglio minerale che quella, potabile, del rubinetto. Ma se non c’è nulla, versiamola in una brocca l’acqua per far andar via, almeno e un poco, il sapore di cloro. Capito? Spero di sì. Ora fate voi gli abbinamenti con il vino.
Comunque sia, idrosommelier o non idrosommelier dell’acqua, dietro a questo rapporto vino-acqua, sentito oggi “contro natura”, c’è comunque una lunga storia. Il vino si mescola infatti da sempre; da sempre crea delle “coppie di fatto” con l’acqua e altre bevande. Spesso storie di gran successo, che durano.
I Romani allungavano il vino con l’acqua e ne facevano così tante che ai nostri occhi (e o al nostro olfatto e gusto direi) suonano riprovevoli. Infatti, oltre ad usare il miele per aromatizzare e far rifermentare il vino (e fin qui nulla di così lontano dai nostri gusti), si andava oltre: “Il vino più ordinario veniva consumato o venduto appena limpido, attingendolo direttamente dai doli (vinum doliare), quello di qualità o destinato alla vendita era invece travasato in anfore (vinum amphorarium), dove subiva una serie di trattamenti mirati a garantirne la corretta conservazione. Comunissimo era l’uso di esporre le anfore al calore e al fumo in appositi locali (apotheca e fumarium) oppure quello di aggiungere al vino acqua di mare o comunque salata, secondo un uso già diffuso in Grecia dove si pensava che l’acqua di mare rendesse il vino più dolce e servisse ad evitare “il mal di testa del giorno dopo”. A seconda delle diverse stagioni il vino poteva essere raffreddato con la neve o scaldato; diffusissimo era inoltre l’uso di addolcirlo con il miele e profumarlo con foglie di rosa, viola e cedro, cannella e zafferano”. (Beniculturali.it). E poi c’era la Posca, fatta con il vino o anche con l’aceto.

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