Vignaioli, alchimisti o semplici contadini?

Assaggiando e parlando con i vignaioli del FIVI di Piacenza, ho ascoltato tante testimonianze di lavoro che fanno il paio con altre sentite a Vini di Vignaioli e al Vinitaly un po’ di mesi fa: “io non aggiungo lieviti”, “non faccio filtrazioni”, “uso vasche di cemento”, “ho incominciato ad usare le anfore”, “seguo in parte il metodo biodinamico”, “non uso solforosa”… e via dicendo… A volte sembrava di ascoltare degli antichi alchimisti a volte dei fanciulli che giocano con uva, fermentazioni e via dicendo. Non si capisce mai quando ciò che certi fanno sia frutto di intime e sentite (magari anche un po’ combattute nell’intimo, ma proprie) convinzioni o pure superficie. Nulla di grave, per esempio, credere che le costellazioni influenzino l’agricoltura. Male non fa. Ma a volte si ha l’impressione che sia una moda da cavalcare, perché esiste una fetta di mercato che vuole questi prodotti ed è disposta a pagarli un poco di più. Legittimo. Se la gente desidera così, gli si dia. Magari, però, dirlo con sincerità: “stiamo provando con il biodinamico perché ce lo chiedono i nostri agenti… vogliamo provare perché in Germania lo vogliono vini senza solforosa aggiunta” etc etc.
No, non parlo del biologico, perché questo sistema agricolo ha una sua correttezza legale ed è normato. Parlo del vasto mondo, una costellazione direi, dei cosiddetti vini “naturali”. A volte dico agli amici che un Robespierre redivivo manderebbe parecchi di questi alla ghigliottina, per palese irrazionalità; ma mentre faccio questa battuta, penso ai tanti piccoli vignaioli, patrimonio d’Italia (e dell’Umanità), ai tanti contadini che debbono fare fronte alle grandi multinazionali del cibo massificato; penso all’aiuto che dà loro un segmento inesplorato come quello che si sta delineando con i cosiddetti vini “naturali”. Allora sorrido e penso che fanno bene, convinti o meno, coscienti o meno, a fare quello che fanno.