Un vero maiale

Un vero maiale che ruzzola nel sottobosco, che grufola alla ricerca di radici, che si adatta alla mutevolezza del tempo… regalandoci carni sode, dal graso tonico, saporite. Fra un bicchiere ed un altro, da monsieur Juillot, passando da profumati chardonnay a corposi pinot noir, assaggiavo con piacere fettine di prosciutto da Noir de Bigorre tagliate con il coltello. Buone, profumate, saporite, giustamente grasse… frutto dell'allevamento in parte all'aria aperta e all'alimentazione, in parte, libera del sottobosco. Si tratta di un bel maiale agile, nero di pelo, che allevano i francesi sui Pirenei, in una zona chiamata appunto La Bigorre. Per questo vero maiale hanno già iniziato la pratica della dop e stanno entrando nel mercato -alto- dei salumi da maiali allevati allo stato brado o semibrado. Il cui capofila è il cosiddetto “pata negra” spagnolo (impropriamente perché il nome indica una razza e non una metodologia di allevamento). Si tratta di un mercato difficile, a cui possiamo ascrivere le analoghe esperienze italiche della cinta senese, della troia romagnola, del nero delle Madonie… e forse altro. Mercato difficile, ma unica via di salvezza sia per i territori marginali: montani e collinari, sia per i piccoli produttori che sempre più a fatica riescono a combattere la concorrenza dei mega allevamenti tedeschi e danesi. In Italia, per capirci, due prosciutti su tre sono frutto di maiali allevati altrove. La tracciabilità e il valore aggiunto (del territorio, del sistema di allevamento, dell'alimentazione…) possono fare la differenza. 

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