Un gradino sotto Slow Food

Boh! Boh, solo boh, dopo la mia prima visita ad Eataly, sabato scorso, solo questo giudizio riesco a formulare. Reduci dalla lunga fila della Sindone, andiamo a visitare questa nuova attrazione turistica torinese. Eataly è bella, piace subito per il suo mix di modernità ed archeologia industriale (mi hanno detto fosse l'ex stabilimento Carpano, credo): girovaghiamo fra le scansie e subito ci rendiamo conto che è un monumento al “pop”. A partire dalla macchina distributrice oggetti Alessi all'ingresso. Uno si compra così, come fosse uno snack, una saliera, un vasetto, un ciondolo… di marca, poi. Contenuti alti in forme popolari. Ci siamo: Eataly è così. Contenuti alti nella forma più popolare che ci sia: il centro commerciale. In più, però, si mangia un po' ovunque, con isole tematiche. Non menù, ma singoli piatti ispirati all'area di pertinenza: verdure, carne, pesce, birra… E ciò mi ricorda cosa vidi anni fa a Berlino, nei magazzini centrali: al fianco del banco spesa, si mangiava su sgabelli: un piatto e un bicchiere. Allora, i tedeschi, i berlinesi mi parvero degli esagerati: mangiare sempre, ovunque, con una frenesia alimentare sconosciuta, senza stile, a fianco di sconosciuti… ed ecco che anche in Italia arriva lo stile berlinese. Noi mangiamo nella zona birra, sotto. Io assaggio un pollo (due cosce) con cous cous e carotine e curry. Nove euro e cinquanta con tovaglietta di carta pubblicitaria, posate di acciaio, tovagliolo di carta, bicchiere dell'acqua in materB biodegradabile, pane in sacchetto di carta, acqua Lurisia a piacere, birra rossa, una bock luppolata assai buona, una media a quattro euro e cinquanta. Sei su uno sgabello, di fronte hai un ripiano a sbalzo del bancone curvilineo, oltre il parapetto hai delle distratte ragazzine in maglietta simpatica e cappello da simil cuoche; di fianco i resti di altri pasti (il servizio è lento, non professionale, “pop”) oppure degli sconosciuti di cui tenti di capire gusti e ragioni (il mio leggeva La Repubblica e mangiava il mio stesso piatto). Bevo un'altra birra, un'altra da tre euro. Buona. Poi, rifocillati, camminiamo fra le scansie e compriamo: bibite strane, salse naturali, birre, pasta di Gragnano… paghiamo caro. Però, pensiamo: con che logica scelgono i prodotti? Ovvio, probabilmente con quella dei supermercati: vendono gli spazi a chi se li può o deve permetterseli, poi si fa pagare loro le promozioni (sabato c'erano le cantine sociali: quanto pagavano?), infine si impone loro di realizzare l'esposizione con prodotti forniti gratis… Poi. Poi, alcuni prodotti non sono di alta qualità: appaiono di alta qualità. Tipo le bibite gasate: alcune delle quali contengono le stesse misteriose sostanze di quelle “american tyle”. I prezzi non sono bassi, ma questo potrebbe anche essere giusto. Mangiare, infine, costa caro. Il mio pollo per esempio: un pollo industriale non di Bresse.
Giudizio? Questo supermercato è un gradino sotto Slow Food, organizzazione da cui saccheggia idee, su cui si appoggia; ma ha una marcia in più rispetto ai supermercati di qualità tipo Esselunga (cosa faranno i grandi lombardi? Copieranno? Cosa?) e dieci marce in più rispetto agli anonimi supermercati italici (stessi prodotti, senza senso, nulla!). Eataly ha anche una marcia in più rispetto alla ristorazione medio bassa a cui fa concorrenza: in quale pizzeria, per capirci, avrei potuto assaggiare una birra così buona? In nessuna. I pizzaioli sembrano non saper distinguere una passata buona da una no, Figurati le birre!Un giudizio finale, dunque? Boh, sono indeciso come con il McItaly di Zaia: un panino ricco di idee e ragionamenti trasversali, ma insapore. Qui il sapore c'é. Ma chi lo paga? Un po' noi e un po' i produttori artigiani (se se lo possono permettere!). Giusto? Sbagliato? Sospendo il giudizio. Per ora…

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