Stralci e tralci

Martedì scorso, ho tenuto una lezione sui vini passiti. Ed ho fornito agli studenti un elenco completo dei metodi di appassimento delle uve. Ecco uno stralcio della lezione:

“- Le uve si fanno appassire in quattro modi diversi:

a) lasciando le uve surmaturare sulla pianta, rischiando però che la muffa, la Bottritis cinerea, attacchi tutto il grappolo e ne pregiudichi la resa. In alcune zone si fa così, come nel Bordeaux dove si fa, fra gli altri, il Sauternes. Per questo vino si può prevedere una raccolta chicco a chicco ed una serie di microvinificazioni. Pregi e difetti: grande ricchezza di bouquet, in bocca dolce ma equilibrato dall’acidità; spesso ha profumi di acetone, chimici che se pochi sono poco più di una curiosità, se troppi sono dovuti alle muffe e sono un limite. Per la loro produzione, ci vogliono zone poco umide ed una tipologia di allevamento dedicata (nemici dei grappoli surmaturi sono il vento, la pioggia e gli uccelli);

b) raccogliendo i grappoli, sani, e ponendoli su fruttari o cassette di plastica ad asciugare (una volta sui graticci di paglia o di cannette) all’aria; a volte si appendono in lunghe teorie di grappoli appesi; oppure si tengono in cima alle cucine di una volta ad asciugare: o ancora si mettono in essicatoi industriali ad asciugare. Pregi? Costano di meno, perché i grappoli sono più controllabili rispetto a quelli lasciati sulla vigna; difetti? A volte sono meno ricchi di profumo e hanno una fastidiosa nota di acetone, chimica;

c) raccogliendo i grappoli e lasciandoli poi ad asciugare al sole. Metodo tradizionale delle zone calde. Oggi in disuso per ovvie ragioni: questioni sanitarie, eccesso di calore che può cuocere le uve, donando quel tipico profumo-sapore di mosto cotto, di vin cotto che qualche passito meridionale ha, attacco degli uccelli e degli insetti. Vantaggi? Una grande potenza di profumi, spesso monocorde, grande corposità glicerinica. A volte sono stucchevoli perché poco acidi. Oggi si fanno asciugare ma in zone ombreggiate, riparate;

d) lasciando i grappoli sulla vigna e raccogliendoli durante la prima gelata di stagione. A temperatura ambiente, poi, si pigia (tanto o poco in relazione a ciò che si vuole ottenere). Sono i cosiddetti “vini del ghiaccio”, “eis wein” in Austria e Germania, “ice wine” in Canada. Non si possono fare ovunque: ci vuole una temperatura rigida precoce, una forma di allevamento dedicata, ventilazione contro le muffe. Vantaggi? Grande bouquet e grande potenza espressiva. Senza i sapori di vino cotto o gli acetone dei vini su graticcio. I vigneti devono essere protetti dal vento e dagli uccelli”.

Alla fine della lezione, uno studente mi aveva chiesto se questi fossero tutti i metodi per fare del vino passito. Ed io gli avevo risposto di sì. Invece, due giorni dopo, giovedì sera, alla Spazio Pelota di Milano, nella prima serata del “Week End della Degustazione”, ho trovato traccia di un altro metodo di cui, invero, avevo già sentito parlare. Il signor Pier Luigi Busolin, dell’azienda agricola Oasi dei Templari mi ha fatto assaggiare un notevole raboso del veneto igt, ottenuto tagliando i tralci che portano ai grappoli e lasciando il tutto lì, ad appassire sulla pianta. Il tutto –a suo dire- si copre sì di muffa, ma questa non progredisce e rimane lì, secca e polverosa. L’uva appassisce in pianta e si ottiene un appassimento. Il Raboso? Bhé, rispetto a quelli che avevo assaggiato anni fa, decisamente ottimo: profumi di frutta rossa, note vegetali, dolcezza, alcool (13,5°); in bocca è equilibrato, asciutto e leggerissimamente tannico. Buono, questo vino appassito in tralcio.

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