Siamo tutti un poco borgognoni:tre.

DSCN2648A Montagny ci sono le vigne basse. Dicono per sfruttare il calore rilasciato dal terreno argilloso. Qui, una volta, si coltivava il gamay e si facevano vini senza grande stoffa. Oggi è tutto chardonnay. Il vino che se ne ricava è incredibile per freschezza e longevità. I vigneti si arrampicano sui fianchi delle basse colline, contendendo spazio al bosco. Il villaggio è piccolo e forse disabitato: non si vede nessuno. È venerdì mattina, due novembre. C’è un po’ di sole. In giro non c’è nessuno. Solo i vigneti, lì, tutti in fila, regolari. A spezzare il silenzio, le nostre voci squillanti “da italiani in gita”. La cantina da visitare, il Domaine Feuillat-Juillot, si apre con un tantinello di ritardo (meno male che noi eravamo puntuali!). La padrona di casa ci parla dei vigneti, delle scelte culturali e ci fa visitare la cantina: né troppo moderna, né antica: tini, piéces, botti, cemento e attrezzature varie in acciaio. Una cantina, punto e basta. Poco appariscente come le etichette dei vini (un po’ come tutti i vini borgognoni che abbiamo assaggiato).

Il primo è in botte grande: uno chardonnay del 2007: sa di mela, di agrumi; in bocca è aggressivo, fresco, poco corposo. Dicono che sarà un grande vino. Il secondo è lo stesso ma in botte piccola, nella piéces da 228 litri: è lo stesso ma si sente il legno. E poi agrumi, tanto agrumi. In bocca è più morbido, pronto.

Saliamo nella sala degustazione-bottega-sala di spedizione-di imbottigliamento; lì assaggiamo, nell’ordine: un Montagny premiere cru del 2005. Un assemblaggio di dodici vini chardonnay, da altrettanti vigneti. 13°, con note floreali al naso, di frutta a polpa bianca; in bocca ci regala note minerali (dicono sia il terreno); poi assaggiamo un Montagny premiere cru del 2005 fatto con l’uva di un solo vigneto. I profumi sono di agrumi, note minerali, legno, mandorla. In bocca è fresco, con gusto di frutta, il tutto armonizzato ed accompagnato dalle note dolci regalate dal legno. I vini di Montagny sono da lunga durata, tranne il 2003 che è atipico. Lo assaggiamo: ha profumi più densi, meno netti. Agrumi, note minerali. In bocca è morbido, con la tradizionale freschezza ben smussata. Il 2004, invece, Le Coeres, ha note di affumicato al naso, di mela renetta matura. In bocca è fresco, con retrogusto minerale. Equlibrato nel complesso. Ci fanno poi assaggiare un bianco alla cieca: in bocca è poco fresco, con gusto di agrumi. Direi, poco valido. Però è, se non ricordo male, del 1994. Si fa bere ancora. Quando usciamo dalla cantina, ci sorprende ancora il panorama. Siamo sulle pendici di una collina e guardiamo il paesello nel fondovalle e la collina di fronte: prati, vigne, fiori selvatici coloratissimi, boschi, vecchie costruzioni, chiesette… bella campagna. Ottimo vino. Invendibile, a mio giudizio, in Italia, dove guardano con sospetto tutti i bianchi che non siano dell’annata. Questo si deve bere, almeno tre anni dopo! E guai a berlo a stomaco vuoto: la sua freschezza “uccide”. Noi, però, siamo ben vivi e felici di averlo conosciuto!

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