Secondo incontro

Un altro vino tradizionale l’avevo incontrato a fine gennaio ad una degustazione di nebbioli tenuta a Casale Corte Cerro: si trattava di un gattinara docg Antoniolo Osso San Grato 2000 (12,5°). Realizzato senza utilizzo di barrique, spiccava per armonia di profumi e piacevolezza in bocca. Rileggo sulle note di degustazione: “l’alcol si sente subito ma non nasconde il profumo di frutta rossa, lievi note di spezie e di legno grande; in bocca è asciutto, ma molto gradevolemnete equilibrato”. Buoni, ma figli della modernità tutti gli altri vini della serata: un Prunent ossolano del 2003, un Ghemme docg del ’97, un Roero superiore del 2000 e un Barolo docg del 2000. Tutti vini realizzati partendo dall’uva nebbiolo. Un’uva che si trova quasi esclusivamente in Piemonte, con qualche puntata in Val d’Aosta, Lombardia (Valtellina) e Sardegna, ma anche sperimentata nel Nuovo Mondo. Il Prunent, figlio di un’annata decisamente calda, era ricco di alcool (13,5°), con aroma di legno e frutta rossa; in bocca, poca struttura. Il Ghemme docg assomigliava ad un vino meridionale per corpo ed alcool, con profumi di spezie e tabacco; squilibrato da un eccesso di tannini e con una nota amarognola. Il Roero superiore, al contrario, era un vino totalmente aromatizzato dal profumo del legno nuovo e in bocca risultava ancora allappante. Il Barolo docg, infine, è apparso un po’ il compromesso fra un vino passato nel legno e uno privo: profumi complessi ma non potenti; in bocca asciutto ma ancora un po’ tannico. Discreto.

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