Pizza Today

Si fa presto a parlare male dell'”Italian sounding”: cioé pretendere che i prodotti agroalimentari prodotti altrove siano del tutto privi di riferimenti alle tipicità italiane. Certo, se invece di comprare una mozzarella fatta in Canada, se ne comprasse una fatta in Italia, la nostra economia se ne gioverebbe. Oppure, invece di comprare il “parmesan”, si comprasse del “parmigiano reggiano dop”: anche in questo caso ne guadagnerebbe il Belpaese. Però, il ragionamento è semplice ma non esaustivo. Direi piuttosto consolatorio. Se le mozzarelle fossero prodotte solo in Italia, quanto costerebbero a New York? Siamo sicuri che le comprerebbero comunque. O sarebbero solo patrimonio di qualche riccone. E, poi, con cosa farebbero le pizze? Con cara mozzarella italiana (che viaggia in aereo, direi, per arrivare fresca) o con pasta filante prodotta negli USA. E i nostri pizzaioli usano poi davvero solo prodotti italiani. E noi mangiamo sempre e solo prodotti realmente italiani? Come giudicare, infatti, i tanti prodotti “italian sounding” che troviamo nei nostri supermercati, senza andare all’estero? La mozzarella tedesca, la pizza surgelata francese, l’olio d’oliva marocchino… E quanto “sounding” mangiamo noi: i wurstel, la cola, l’hamburger, il surimi…
Un conto è la contraffazione, ovvio: da condannare. Condannerei anche l’effetto scia, tipo il “tombonzola”, il “parmesan”… ma con qualche dubbio, però. Chi sa, condanna l’imitatore ai margini del mercato: là dove si trovano i prodotti da poco. E poi, una bella campagna pubblicitaria farebbe più di cento avvocati. E in ogni caso ho molti dubbi: cosa possediamo? Un nome, un processo produttivo, un’idea… cosa?
Non condannerei in toto, semplicemenete, “l’Italian sounding”, perché è figlio dei tempi… Sfoglio il numero di giugno 2011 di “Pizza Today, rivista di settore statunitense: a pagina 4 e 5 c’è la pubblicità della Stanislaus The “Real Italian” Tomato Company. In mezzo a delle belle distese di pomodori californiani ci sono due signori sorridenti: Tom Cortopassi e suo figlio Dino Cortopassi. Degli italoamericani. Fanno passata di pomodori in stile italiano. E’ più “vera” la loro o quella fatta in Campania? Terra? Tipologia? Stile produttivo? Cosa fa la differenza fra un “vero” e un “non vero”? Non lo so. Davvero non lo so… La rivista è piena di pubblicità “italian sounding”: prodotti con nomi nostri come Bontà, Allegro, Bella Rossa, Diciotto, Stella, Gardenia, Ciao… Molti di italoamericani nel business e molti no. C’è anche l’immagine di una Gioconda che si gusta una fetta di pizza… “Italian sounding” in toto e all’ennesima potenza. A mio giudizio tutto ok. Si cita l’Italia come fonte di ispirazione. Questo è bello e fa bene. Certo è più difficile comprendere se è giusto che la Piancone (nome registrato) utilizzi liberamente il nome del gorgonzola per la sua Piancone (registrato) Gorgonzola Steak Wrap che è composta da 1 Piancone (registrato) Wrap, Plain or Garlic & Herb, 3/4 Cup ROMA (registrato) Philly Steak Slices, 2 Tbsp Piancone (registrato) Creamy Gorgonzola Dressing, 1 Tbsp ROMA (registrato) Gorgonzola Crumbles ed altre cosucce… Un tal fanatismo di registrazione (ma come avranno fatto a registrare il nome ROMA?) fa da contraltare ad una assenza di segni dop o italian gorgonzola. Useranno il famoso erborinato italiano? Non credo… Non è assolutamente italiano l’asiago venduto da Cheese Merchants. Leggiamo sul sito che “Cheese Merchants of America sources the finest quality Asiago Cheese made in Wisconsin. Our Asiago is aged for a minimum of six months, providing a sweet, slightly tangy and pleasant flavor”. Un asiago “made in USA”, quasi spudorato; eppure è un nome geografico. Forse si dovrebbe dirlo agli americani… che non pensino sia una zona del Wisconsin!

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