Sabato scorso ero in attesa di imbarco alla Malpensa e il gruppo di famiglia mi ricordava che se papà fosse stato ancora vivo sarebbe stato il suo novantaseiesimo compleanno. Sarebbe stato bello festeggiarlo, papà Tiziano. Il ricordo ha assunto un sapore agrodolce perché in questo periodo sono stato sia a Malaga, in Spagna, sia Dublino, Irlanda. Il che mi ha ricordato il mio giovanile vagabondare con Interrail, su e giù per l’Europa. Sono stato sempre irrequieto e ramingo, un Ulisse dantesco in miniatura (“l’ardente desiderio / che ebbi di conoscere il mondo, / e i vizi e le virtù degli uomini”) e questo a mio padre, così assorto nella sua “pesantezza dell’essere”, piaceva. Piaceva sentire i miei racconti, coriandoli di cose viste, annusate, assaggiate, pensate… era curioso e per un momento ero io a guidare e non lui come al solito. Brutta cosa i rapporti fra padri dal pensiero forte e figli dal pensiero debole. Ma così era e ormai è tardi.
Ora che viaggio abbastanza, fra scuola e vacanze, mi dispiace non avere lui a casa per poter raccontare; per sentirmi un poco e per poco importante, diverso, più sicuro di quello che sono in realtà.


Ora dedico a lui ciò che mangio, era un aspetto che lo incuriosiva molto ed era più aperto di molti. Gli avrei detto che sia in Spagna sia in Irlanda ho mangiato bene. Che sì noi italiani mangiamo bene, ma che anche gli spagnoli e gli irlandesi hanno prodotti eccezionali e che lo sanno e che comprano volentieri ciò che di buono fa il mondo. Sarebbe stato contento, aveva sempre detestato la presunta supremazia del cibo italico meridionale: la pizza, l’olio d’oliva, le cime di rapa and so on…