Mangiare in Mensa

Mangiare in Mensa

Non ci capisco nulla. Lo confesso: non so perché in Italia ci siano le mense nelle scuole pubbliche. O meglio: lo immagino. Immagino che servano per fornire un servizio e in tale ottica non capisco però né le polemiche di chi si lamenta del mancato pagamento di qualcuno (ma in ospedale entrano solo quelli che hanno soldi?) né di chi pretenderebbe che tutti usufruiscano di detto servizio. Cioè senza uscire da scuola o portandosi cibo da casa.

Ma non credo sia così. Ogni tanto sento delle notizie che mi fanno capire che per molti la prospettiva è diversa: sociale, antropologica, etica… Parlano di cibi bio nelle mense, di frutta, di chilometro zero. Ed è recente la polemica sui vegani che costringerebbero ad un regime alimentare sbagliato i propri bimbi.

Quando sentii parlare per la prima volta di mense scolastiche facevo il liceo, nei magnifici anni Settanta in cui il “socialismo era come l’Universo: in espansione!”  e sui miei libri si parlava delle mense scolastiche del nord Europa. Mezzo con cui il governo combatteva la malnutrizione, migliorava la salute del popolo e ridistribuiva ricchezza (da bravi socialisti). Noi eravamo attratti e repulsi da quello stato che ti accudiva dalla culla alla tomba. Un po’ perché ci odorava un po’ di fascismo e un po’ perché troppo amanti della nostra libertà individuale per essere attratti da queste logiche. Si diceva, a denti stretti, che sì là era bello ma poi erano depressi e si suicidavano in massa (notizia mai confermata da statistiche ma ancora oggi creduta vera!).

Intanto però le mense per studenti sono aumentate anche nel nostro Paese e ne ho usufruito pure io come padre. Non necessariamente economiche, ma utili. Un servizio scevro di qualsiasi impronta socialisteggiante. Se non che qualche benefattore pagava i pasti dei negligenti e degli indigenti. Un servizio che andrebbe però esaminato politicamente. Lo stato, cioè il nostro strumento esecutivo, può accettare che una parte della popolazione non ne usufruisca? Sì, forse, ma a patto che si accerti che gli autoesclusi siano in grado di fornire ai propri figli un’alimentazione altrettanto adeguata, ancorché mutuata da tradizioni, visioni del mondo, fede religiosa, intolleranze… Non è giusto, infatti, che qualcuno abbia meno chances di altri perché l’alimentazione sbagliata lo rende indolente, poco attivo, meno attraente… Non vorrei, ma ci arriveremo, che qualche figlio cresciuto male faccia causa ai propri genitori e in contemporanea allo stato per negligenza alimentare. I primi per averlo fatto e il secondo per non averli informati adeguatamente.

Dunque? Per me le strade sono due: o tutti vanno in mensa e ricevono un’adeguata e sana alimentazione. Oppure si lascia la libertà a tutti di sbagliare, obbligandoli però a valutare le conseguenze di eventuali scelte con un’adeguata informazione, necessaria e ben esplicitata.

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