L’importanza di chiamarsi Alberto…

Dopo una decina di volte che cercavo la sua attenzione, chiamandolo “marchese”, mi ha pregato di chiamarlo -semplicemente- “Alberto”. E sia e sarà: “Alberto” per sempre. La degustazione è poi continuata in un tono più informale, nella saletta de La Pesa di Verbania. Un fresco giovedì sera di due settimane fa. Cosa ci ha proposto Alberto, uno dei titolari della titolare1Marchesi di Grésy  Cosa ci ha raccontato Alberto, quarto, ultimo ma unico figlio vignaiolo di questa schiatta di origini savoiarde? Mah, che vinifica solo uve proprie, che considera Gaja il suo maestro (e chi no?), che ammira Parusso, Rivetti… Bene. Senza tema di avventurarsi nell’uso di uve non autoctone. Infatti il primo vino assaggiato è stato il Sauvignon Blanc 2008 Tenuta Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy Langhe Bianco doc (niente barrique). Un bel vino profumato: pesca, frutta matura, forse melone bianco… poi uscivano sensazioni “orteggianti” come le foglie di pomodoro, il sedano… bouquet dunque ricco e abbastanza potente, ma certo poco “souvignonesco”: e chi sa, capisce cosa voglia dire. Pensate ai gatti. In bocca era fresco, morbido, caldo (14°) e corposo non come si sarebbe aspettato. Equilibrato. Buono. Poi Alberto ci ha fatto assaggiare uno Chardonnay 2003 Langhe doc, 14°, ottenuto da una fermentazione a temperature basse, in vasca termoregolata e poi continuata in barrique, malolattica compresa. Undici mesi di legno. Un bell’impegno (pensate alla malolattica fatta in contenitori che non si possono condizionare singolarmente!) che ci regala un vino dai profumi non facili, un po’ schiacciati mi verrebbe da dire. I degustatori li definiscono, più complessi, perché non immediatamente percepibili. Infatti, con molto impegno riesco a sentire nel dolce indistinto della frutta ipermatura, un che di sulfureo che aleggia… profumi schiacciati. In bocca un po’ si riscatta e ci dona un gusto dolce, con un fondo di caramella mou, una morbidezza piacevole che è appena bilanciata dalla freschezza. Non mi ha entusiasmato, però è del 2003: annata assai strana. Buono meno meno. Abbandoniamo i bianchi e passiamo al primo rosso: un Merlot del 2004, 14°. Vino di potenza che sa di legno dolce, di verde, di fiori primaverili come la violetta. Profumi spiccati, bouquet non male. In bocca è asciutto, astringente, fresco, caldo… piacevole ed aggressivo. Buono. Meglio però il Barbaresco Martinenga del 2006, 14,5°: un vino dai profumi più delicati, ma dal bouquet più ricco. Al naso, infatti, la violetta, i fiori secchi, la rosa secca, caramelle alla frutta. In bocca è asciutto, corposo ed equilibrato. Leggera allappanza sul finale, che non guasta per un vino che vive per la tavola. Buono più. Il Barbaresco Gaiun del 2003 aveva dei profumi polverosi, di tostato, di caffé, di tabacco, di marmellata -o meglio composta- di frutta un po’ annacquata, di fondo di cottura di frutta rossa (mamma mia, che perversione olfattiva avevo quella sera!)… In bocca era asprigno, asciutto, allappante, scomposto… Maturo, dunque, al naso, ma giovane in bocca. Se non si pensa all’annata, calda e precoce, verrebbe da dire buono meno meno; se si pensa all’annata, buono. Ad ognuno la sua scelta. Più facile da giudicare il Camp Gros Martinengo del 2000 (14°), altro cru aziendale, che ci è apparso subito più pulito nei profumi, più fruttato (ed era del 2000! più vecchio!), con sentori di caramella alla frutta ma anche di spezie, di tabacco, di fiori recisi, di frutta rossa cotta… che bouquet! Grande. In bocca era asciutto, corposo, equilibrato, con leggera allappanza sul finale. Classico. Piacevole. Buono più più. Lo facevo ancora ruotare nel bicchiere, quando la saletta si è riempita di domande e di chiacchiere. Alcuni brani presi al volo: “il barbaresco è meno potente del barolo”, “la bellezza di un vino è la sua capacità di evolversi”, “le guide danno punteggi, perché la gente vuole vedere il sangue!”… parole sagge. Un po’ di “sangue” lo versiamo anche noi, caro Alberto, ma tu ci sorriderai sopra: noblesse oblige!

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