Letteratura di notte: un po’ d’Inferno dantesco nel buio del Santuario d’Oropa; e invece noi “banalmente” ci saremmo aspettati della paradisiaca accoglienza alberghiera! Sia pure in un contesto da moderni pellegrini… Invece, guai a voi anime prave!
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.
E sì, la citazione mi è venuta subito alle labbra, in quella notte buia di fine gennaio, quando infreddoliti e stanchi siamo stati “accolti” da un moderno Minosse al Santuario di Oropa, appena sopra Biella. Eravamo una cinquantina fra giovani volontari del Servizio Civile e meno giovani docenti del Corso e responsabili Unpli del Piemonte e della Lombardia: tutti comunque intirizziti e stanchi nell’aereo ambulacro del cortile inferiore, dove si ergeva un burbero figuro, voce roca, sigaretta fra le labbra, barba non fatta, sacchetto misterioso da cui estraeva chiavi ed indicazioni stentoree (“primo piano”, “secondo piano”, “fate silenzio c’è gente che dorme”… ).
A parte che di gente, nella mezzora in cui lo avevamo cercato, ne avevamo vista poca. Al punto di aver pensato d’essere soli, forse dimenticati lì. Infatti, avevamo inutilmente cercato qualcuno che ci desse indicazioni e chiavi: di gente non ne avevamo proprio vista. Era tardi, intorno alle dieci passate di sera e il Santuario suonava di vuoto, anche se qualche luce s’intravvedeva. E così eravamo stati una decina di minuti in attesa davanti ad una porta illuminata che, forse, era la reception dell’ostello. In attesa all’aperto, suonando inutilmente, con un’aria fredda e tagliente, montana, temperatura appena sopra lo zero. E cellulari che non avevano linea.
L’attesa inquietava ed infreddoliva la massa e qualcuno, me compreso, aveva cercato risposte per quel silenzio guardando in giro. Voci di bimbi mi avevano, io e alcuni occasionali esploratori, portato nell’angolo superiore del portico sovrastante, dove due giovanotti discettavano su quali sostanze soporifere dare ad una torma di frugoli scout che correva incurante del freddo e dell’ora, dentro e fuori gli antichi corridoi.
Ad un certo punto la nostra tribù vagante nel buio è stata richiamata (non so, non ho sentito: fischio o grugnito o voce sirenesca… non so cosa fu!) all’angolo del cortilone in basso. Lì, in piedi, una poltrona di plastica dietro, al fianco un fungo riscaldante (spento!) c’era lui: il Minosse! Noi invece eravamo davanti a lui, infreddoliti, stanchi, rassegnati… come anime “prave”. E così, chiave dopo chiave, tono burbero quasi da rimprovero ci ha “avvinghiato” facendoci andare o sopra o sotto. Ognuno alla sua notturna dimora.
Le camere, invero, erano molto più accoglienti del loro gestore: calde, anche se un po’ antiche, letti stretti ma tutto pulito… chi si è fatto una doccia, chi si è infilato subito sotto le coperte, chi si è mosso ancora nella notte… la mattina, comunque, del Minosse biellese nessuna traccia. Di lui, solo il ricordo dell’approdo notturno, della poltrona in plastica e del fungo spento… Freddo, vento… poesia… Stavvi Minòs!