L’era del cinghiale bianco

Sono capitato per caso ad una degustazione di vini originali. Strani ed originali. Camminavo per il Salone del Vino di Torino. Stavo parlando con Andrea, Massimiliano e Matteo (ma avevo parlato anche con Remo); stavo parlando del banco d’assaggio dei vini ricavati da uve autoctone: una quindicina di vini assaggiati, registrati e commentati (di cui vi parlerò poi, magari). Dicevo che alcuni mi erano piaciuti, altri meno; che l’organizzazione era ottima, anche se i ragazzotti delle scuole erano un po’ imbranatelli;. Parlavamo e ci confrontavamo, quando Andrea mi ha suggerito di andare ad una degustazione organizzata da Slow Food sui vini senza solforosa. Argomento di cui mi sono più volte interessato. Passiamo dalla Sala Magnum ma ci freddano: tutto pieno. Gli altri desistono ma io mi presento all’ora di apertura, sperando di essere fortunato. E lo sono: qualcuno ha rinunciato.
Entro e mi accomodo a metà sala. Sul tavolo dei relatori, un giornalista del “Gambero Rosso” che presenta due viticultori: un trentenne, Daniele Piccinin, e un cinquantenne, Angiolino Maule, Due interessanti personaggi: il secondo più famoso del primo (che è un suo allievo). Fanno vini naturali, senza sostanze chimiche e senza solforosa. Sono agricoltori biodinamici. Seguaci, magari senza coscienza, di Rudolf Steiner. il famoso filosofo mistico. Parlano e parlano all’attenta platea: non filtrano i vini, non usano la terracotta come Gravner (di cui si dichiarano amici) perché “sporca”, guardano le fasi lunari quando imbottigliano e travasano (ma dai!), non amano le guide dei vini, non amano Demeter (“deludente”) che certifica solo i prodotti usati e non la totalità del processo, amano i vini che “danno la massima espressività della terra da cui provengono”, chiedono “di accettare di mangiare e di bere qualcosa che è invecchiato”, si dichiarano alla ricerca di una vino naturale “più buono”, sono paladini dell’”unicità e della tipicità del territorio”… Insomma, molti argomenti interessanti; molta “carne al fuoco” come si dice per strada. Poi si assaggiamo i vini: un Pico 2004 con un minimo, minimissimo, di solforosa aggiunta (in combinazione con l’acido ascorbico: 17-21 mg per litro); e un Pico 2004 senza solforosa aggiunta. Entrambi sono vini bianchi ricavati da uve garganega. Il secondo profuma come certe birre a fermentazione spontanea (la gueze); appare un po’ velato, di colore ambrato; sa di miele, pietra, minerale, fiori. In bocca è subito dolce ma appena dopo acidognolo ed aspro. Tipico dolce/acido dei vini ossidati. È anche un po’ sapido ed acetico alla fine. Vino buono? Da intenditori, direi. E il primo, con la solforosa? Dicono che si senta il legno al naso. Io non lo sento. Ma incominciamo a guardarlo: ha colore ambrato, più limpido del primo; ha profumi maggiori: vegetali, minerali, miele; in bocca è asciutto, fresco, anche lui acido-ossidato. Anche lui ha una leggera vena acetica finale. Sapido, ovvio. Buono? Simile al primo, è però più facile da accettare. Entrambi, comunque, non mi sono dispiaciuti. Mi chiedo quanto siano capiti da un mercato italiano tutto teso all’esame organolettico e meno alla storia del vino. Poco, direi. Maule stesso lo dice, mentre rifletto: “il settanta per cento dei nostri vini va all’estero, Giappone soprattutto. Dove sono molto apprezzati”. Giappone? Chissà come mai?
In cerca di risposte, ho scaricato dal sito dell’azienda di Maule, La Biancara, il testo programmatico di alcuni vignaioli radicali come lui. Eccolo: “La Biancara di Angiolino Maule sostiene il movimento VinNatur, che nasce per ampliare la cultura dei vini naturali, per diffonderne la conoscenza e per riunire periodicamente interpreti italiani ed europei di questa cultura mettendola a disposizione del pubblico in un’ esperienza di conoscenza e scambio. Il movimento non si pone l’obiettivo di fissare in una “regola” i criteri di selezione dei produttori che Vi si identificano, ma di incontrare chi condivide ideologicamente e filosoficamente una cultura di trasparenza, naturalità e ricerca delle espressioni della terra. Produrre vino in maniera naturale significa agire nel pieno rispetto del territorio, della vite e dei cicli naturali, limitando attraverso la sperimentazione, l’utilizzo di agenti invasivi e tossici di natura chimica e tecnologica in genere, dapprima in vigna e successivamente in cantina. Significa inoltre promuovere lo scambio di reciproche esperienze mettendo la propria conoscenza a disposizione degli altri, in particolare, di quei giovani che muovono i primi passi in questa dimensione e che ancora non possono dirsi “naturali” fino in fondo. Il movimento si pone l’obiettivo di fare cultura rifuggendo qualsiasi tentazione commerciale, cosa che va lasciata alle attività individuali di ogni produttore all’interno della propria Azienda. L’appartenenza al gruppo significa riconoscere in se stessi caratteristiche coerenti con gli altri viticoltori del movimento e non entrare in possesso di un marchio di fabbrica”.
Incuriositi? Io sì.

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