L’alta ristorazione è etica?

Mangiare molto è etico, in un pianeta sovraffollato e mal gestito? Mangiare e bere caro nell’alta ristorazione è etico? Spendere cifre con cui molti mangerebbero un mese per una cena (o pranzo) è etico, è giusto, è moderno? Il denaro ricavato è reinvestito nel sociale o è un accumulo di pochi?
Dubbi molti. Risposte certe solo se si ha una fede forte, religiosa o politica, che segni dei confini netti. Sennò i dubbi sono proprio molti.
Certo che qualche domanda se la debbono porre anche gli stessi stellati: infatti non mancano le iniziative benefiche in cui sono protagonisti. Ma bastano queste lodevoli iniziative per rendere etica, giusta l’alta ristorazione?
Non vorrei sembrare presuntuoso, ma io penso di no.
Mi piacerebbe, infatti, che la Guida Michelin valutasse anche con altri parametri l’alta ristorazione (se lo fa, non lo dice). Per esempio:
– l’ottimale rapporto fra assunti e “stagisti” per evitare smaccati casi di sfruttamento;
– la qualità del lavoro: tempi, servizi ai lavoratori, turni…;
– l’impronta carbonica del locale: l’energia consumata per illuminare, riscaldare, cuocere, i chilometri che i prodotti fanno per esserci;
– la quantità di rifiuti prodotti;
– il rapporto collaborativo con il territorio…
Mi piacerebbe anche che, come per il vino, s’introducessero nella cucina concetti come bio, sostenibilità, recupero, responsabilità, qualità dell’alimentazione…
La mia impressione, da professore di scuola alberghiera, da appassionato gastronomo, è che il mondo vada da una parte, alla ricerca sia pur confusa di soluzioni; mentre l’alta cucina va da un’altra, fregandosene, seguendo il mito creato dalla televisione. E se poi passasse di moda? Se la gente cambiasse canale?

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