La mia prima bevuta equa

Non è ancora una categoria a sé, ben distinta. Intanto, però, comincia a farsi notare. È il vino “equo e solidale” che si trova nelle tante botteghe dove si vendono prodotti per la cui realizzazione non si siano sfruttati i lavoratori né si sia contribuito –troppo- all’inquinamento del Pianeta. Un consumo etico che, nonostante appaia difficile, lontano, sta invece conquistando fette di mercato anche nella grande distribuzione. In molti centri storici italiani, intanto, le luci delle botteghe eque e solidali illuminano i centri storici a rischio desertificazione, sostituendosi alle più tradizionali botteghe “di una volta”.

Il mercato equo e solidale è una galassia di botteghe private, autonome od associate, di centri di acquisto nazionali ed europei, di enti di certificazione, siti internet… ruotano tutti intorno a dei principi condivisi; non essendo un’unica realtà multinazionale, non sono gli interessi economici o di proprietà ad essere il leit motiv di questa particolare branca di mercato. Anche se i soldi –in verità- non mancano e il fatturato cresce. Il commercio equo e solidale è, per definizione, “una partnership economica basata sul dialogo, la trasparenza e il rispetto, che mira ad una maggiore equità tra Nord e Sud del mondo attraverso il commercio internazionale.
Il commercio equo contribuisce ad uno sviluppo sostenibile complessivo attraverso l’offerta di migliori condizioni economiche e assicurando i diritti dei produttori marginalizzati dal mercato e dei lavoratori, specialmente nel Sud del mondo.
Le organizzazioni di commercio equo (Fair Trade Organisations), supportate dai consumatori, sono coinvolte attivamente nell’assistenza tecnica dei produttori, nell’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni e nello sviluppo di campagne volte al cambiamento delle regole e delle pratiche del commercio internazionale”.

L’idea nacque nella testa di un prete olandese, Frans van der Hoff, il quale nel 1985, insieme all’economista Nico Roozen, lo immaginò, iniziando con un marchio di certificazione, il Max Havelaar. Oggi una realtà molto importante che in Europa certifica prodotti per 660milioni di euro. Oltre al caffé, prodotto icona del commercio equo, oggi sono certificati e venduti anche frutta, legumi, spezie, oggetti d’artigianato, mobili e vestiti… Non tutto ciò che si vende è interamente realizzato nel Sud del mondo. Spesso si tratta di prodotti elaborati in Europa, partendo da materie prime acquistate con la logica dell’equo. Come il caffè o la cioccolata. Altre volte, le botteghe vendono prodotti realizzati in Italia e in Europa, senza nessun contributo del Sud del mondo. In questi casi ci sono valutazioni diverse alla base delle scelte: cooperative che favoriscono il reinserimento sociale, aziende che operano in aree svantaggiate… I prodotti in vendita nelle botteghe sono spesso frutto di elaborazioni complesse, come le maglie di cotone proposte dalla Cooperativa Raggio Verde di Biella. La quale compra il cotone ecologico dalle centrali di acquisto del commercio equo; lo fa lavorare da alcune aziende biellesi in crisi; su disegni e modelli propri. Altre botteghe, poi, vanno direttamente alla fonte: Altre ancora dialogano coi produttori per differenziare modelli e tipologie di prodotto.

E il vino? Il vino ha cominciato a fare capolino nelle botteghe. La scelta per ora non è ampia, ma il prezzo che spunta è decisamente alto. Si tratta di acquisti che le singole botteghe fanno, ispirandosi ai principi del commercio equo. Si trovano, infatti, i vini della cooperativa Libera Terra Placido Rizzotto. Come il vino bianco Placido, ottenuto dalle uve di catarratto, vitigno autoctono di Sicilia, coltivato con metodo biologico. Oppure vini il greco bianco di calabria Rasule, della cooperativa sociale Valle del Bonamico, calabrese. Oppure quelli della cooperativa pavese La Vigna di Montecalvo Versigia. O i vini cileni delle cooperative Los Robles e Vigna Chequen. O quelli argentini prodotti dalla coperativa vitifrutticola General Alvear. Fra poco saranno disponibili anche i vini certificati dalle centrali di acquisto europee più importanti. I principi che stanno alla base delle scelte saranno quelli di tutti gli altri prodotti equi e solidali: giusta ricompensa ai produttori e ai lavoratori, ricaduta sul sociale, tutela del territorio.

La mia prima bevuta equa lìho fatta oggi. Ho aperto una bottiglia di Oltrepo Pavese doc Bonarda del 2005, 12,5°, della Cooperativa La VIgna di Montecalvo Versiggia. Un vino dai profumi abbondanti, freschi, vinosi, di frutta rossa; in bocca leggermente carbonico, ben equilibrato e con una nota di dolce che non guasta. Non male, per una prima volta.

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