La Frutta Finta

La Frutta Finta

Sono a Torino per lavoro. Alloggio in un modesto hotel vicino al Lingotto. E lì ogni mattina faccio colazione. E lì, come a casa, mangio frutta. Solo che lì, non è frutta. È qualcosa d’altro. Assomiglia alla frutta, per carità: ha le stesse forme, stessi colori, è anzi più “perfetta” rispetto alle mele, le pere, i kiwi di casa mia. Ma è finta. O meglio: è acerba, non matura, gnucca.

Mi ricorda la frutta che mangiavamo come dei pierini dagli alberi altrui: grandi mal di pancia. Bello. Ma mi fa anche pensare a tutte le menate sul km zero, sul km vero, sul km buono… Lì di buono c’è ben poco. Ma i chilometri sono tanti. O forse, solo percorsi in anticipo.

Mentre cerco di cubettare un kiwi malamente con il coltello da tavola (ci vorrebbe il mio opinel, ma credo che farei fatica a spiegare perché l’ho con me in città); ecco, mentre lo violento con sgarbo, emana un profumo di verde, di acerbo; è duro come un sasso peloso; in bocca è acido. Nello yogurt “spacca” come una punizione gastronomica.

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