La birra di Pombia

DSC_0099È nata prima la birra o prima il vino? Ogni tanto si legge di un tal studio di un tal altro… I paragoni si sprecano e le contrapposizioni pure. Ti gira nella testa l’usurato motteggiare: “prima l’uovo o la gallina?”. Viene poi da chiedersi se ciò è poi così importante. Da qualche parte, in un certo luogo, qualcuno ha fatto fermentare dei cereali ricavandone una “birra”; in un altro luogo, o nello stesso, altri o lo stesso hanno fatto fermentare del succo d’uva… In Belgio, considerata dai più la “mecca” della birra mondiale, esistono “birre” a fermentazione spontanea che partono da miscele di cereali ed uva. Vino o birra?

La discussione si vena di sana ironia, pensando poi che la più antica testimonianza di birra moderna arriva dal Piemonte, regione assai nota per i suoi vini e meno per le sue poche, pur buone, birre. Sarebbe come trovare tracce storiche di culti vegetariani a Norcia, patria dei norcini. Fa sorridere. Ma così è. La più antica testimonianza di birra moderna, cioè di una bevanda fermentata a base di orzo maltato ed aromatizzata con il luppolo, è infatti di Pombia, nel novarese. Paesello della bassa in cui, da alcuni anni, si svolge una bella festa tematica, ricca di convegni a tema, menù a base di birra e grandi bevute. Si spina e saltano i tappi, tanti, anche di una rara birra locale, una birra “old style” fatta sulla falsariga di quella che un pombiese di ventisei secoli fa si portò nella tomba come viatico per l’ultimo (?) viaggio: è la “Flavia Plumbia”, preparata con melata della Valle del Ticino e malti selezionati: d’orzo, farro e grano. Una birra doppio malto (7°) che profuma di miele, melata, di tofee… In bocca è piena, piacevole, dal gusto molto lungo. Leggeremnete amarognola. Ottima e sorprendente. Con personalità. E con una lunga storia alle spalle.

Tutto è iniziato alcuni anni fa, grazie ad una “inconsueta scoperta archeologica”, come l’ha definita Filippo Maria Gambari della Soprintendenza beni archeologici del Piemonte, fatta in “una piccola necropoli a cremazione a Pombia”, dove “una tomba a pozzetto databile intorno alla metà del VI secolo a.C. ha conservato così particolari condizioni microambientali da restituirci un ritrovamento eccezionale. L’urna cineraria in terracotta e la scodella di copertura erano infatti intatte, tanto da creare una chiusura quasi stagna in un terreno argilloso; le ceneri del defunto (un maschio adulto) all’interno, prelevate dal rogo e fortemente igroscopiche, riempivano quasi del tutto la piccola urna, tanto da creare un ambiente secco in cui il bicchiere d’impasto collocato pieno (circa 18 cl) al momento della deposizione al di sopra delle ceneri ha potuto conservare disidratata una traccia del contenuto”. Ma cosa si era portato nell’aldilà questo antichissimo piemontese? Ciò che appariva poco di più di “una crosta d’un colore vivace rosso-brunastro del peso di circa un grammo”, mostrava ad occhi attenti “abbondanti presenze di residui precipitati della fermentazione di zuccheri tanto da non lasciare dubbi sulla natura alimentare: il colore faceva subito pensare al vino ma le analisi polliniche documentavano una percentuale superiore al 90% di pollini di cereali oltre a pollini arborei e di luppolo, tanto da rendere evidente che si trattasse dei prodotti di decantazione di una bevanda ottenuta per fermentazione di cariossidi di cereali con aggiunta di aromi vegetali”. Cioè, in poche parole, una “birra, scura e ad alta gradazione”.

Il ritrovamento di Pombia non solo costituisce la più antica attestazione materiale europea di birra di una certa gradazione ma addirittura retrodata di molto l’utilizzo del luppolo come aromatizzante per la birra: “il luppolo selvatico è ancora oggi endemico nelle brughiere del Ticino tra Pombia e Castelletto… La birra bevuta a Pombia intorno al 550 a. C. da popolazioni protoceltiche ben anteriori alle invasioni storiche dei Galli era dunque molto simile a certe birre forti attuali: scura e rossastra e dunque corrispondente alla cervisia delle fonti classiche; abbastanza filtrata, prodotta con una miscela di cereali, collocata in un vaso la cui bocca svasata favoriva lo sboccamento della schiuma”. Nello stesso periodo, negli stessi luoghi, comunque, si faceva anche del vino. Il nostro compatriota, però, preferiva la birra. E se l’è portata con sé.

La birra è antica come la cerealicoltura. Gli Egiziani, anche per definirne le origini remote, ne attribuivano per esempio l’invenzione ad Osiride. Gli archeologi pensano che la sua nascita debba essere avvenuta intorno al sesto millennio a. C. Veniva bevuta anche in Mesopotamia, con cannucce di paglia per evitare gli affioramenti (non era filtrata). La storia del consumo di birra viene fatta osservando vasi e boccali che sono quasi sempre svasati, per permettere di schiumare la birra, per togliere la pula in affioramento. La birra egiziana era considerata da Greci e Romani una bevanda di scarso pregio, in un paese in cui non mancavano buoni vini, preferiti del resto anche dalle classi agiate dell’antico Egitto, e ancora nel IV secolo nell’editto sui prezzi di Diocleziano troviamo che la birra europea (“cervisia”, “camum”) costava il doppio della birra egiziana e la metà dei vini ordinari. L’imperatore Giuliano l’Apostata nel IV secolo ha d’altra parte composto un epigramma in greco per denigrare la birra dei Celti (“Del vino d’orzo”): era un bevitore di vino.

Per questi motivi ed altri, per tanto tempo si è vista come marginale la produzione di birra nell’antichità. Una birra fatta con diversi cereali ed aromatizzata anche con il luppolo, perché si usavano -e si usano- anche altre spezie per aromatizzare la birra: dal coriandolo all’erica, datteri e fichi, cannella e salvia, menta e timo, rosmarino e pino… Comunque, si è stati a lungo portati a ritenere che l’utilizzo del luppolo (Humulus lupulus L.) nella birra risalga alle prime attestazioni della sua coltivazione, diffusa soprattutto dai monasteri della Boemia nel secolo XIII. In realtà il luppolo, pianta endemica in Europa, in boscaglie, siepi e nelle radure ai margini dei boschi era conosciuto e utilizzato come erba medicinale ed aromatica fin almeno dal IX secolo. Del resto il luppolo selvatico è stato trovato nei ritrovamenti pollinici dei siti preistorici centroeuropei e in Piemonte in particolare è presente fin dall’avanzato Neolitico. Al di là di possibili usi medicinali, il luppolo era poi certamente ricercato nella preistoria, al pari dell’ortica, per la sua fibra resistente adatta a corde, lenze e sacchi e come aromatizzante di cibi.

Se vogliamo cercare le origini della birra moderna dobbiamo dunque pensare al mondo celtico subalpino e non alla Germania medievale. Del resto la stessa parola “birra”, tedesco “bier”, francese “bière”, viene probabilmente dalla stessa radice del celtico “brace”, riferito da Plinio, che indicava una specie di cereale: la scandella od orzo distico, nonché il malto fermentato per la fabbricazione della birra. L’italiano antico “cervogia” e lo spagnolo “cerveza” si rifanno invece al celtico “ceruesia”, era questa presumibilmente la birra scura, per lo più d’orzo, derivando tale nome dalla radice indoeuropea per “animale con corna, cervo” nel senso di determinazione di colore, come il nostro uso moderno del termine “camoscio”.

Queste considerazioni linguistiche sembrerebbero confermare il ruolo importante del nord ovest italico (cioé Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta) nella produzione di birra, che si affiancava alla coeva e contemporanea produzione di vino, come attestano numerosi ritrovamenti archeologici. Secondo Ateneo i Liguri, come i Frigi ed i Traci, chiamavano la loro birra “bryton” (probabilmente dalla stessa radice indoeuropea di “brace”), dunque anche nell’area a sud del Po si produceva verosimilmente una birra d’orzo a fianco dei vini locali. Del resto Strabone (IV 6,2), parlando esplicitamente dei Liguri della costa riferisce che “vivono per lo più delle carni dei greggi, di latte e di una bevanda d’orzo ed occupano le terre vicine al mare e specialmente i monti”, aggiungendo poi che “il loro vino è scarso, resinato ed aspro”.

Da allora molto è cambiato: il vino è migliorato ed è più famoso della birra. Pure lei, però, ha lunga tradizione e produzioni ben fatte proprio in questi luoghi. Cosa si porterebbe oggi nella tomba il nostro antenato: vino o birra? Od entrambi?

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