Il vino senz’alcool?

Un fantasma si aggira per l’Italia, incuriosendo ma anche spaventando molti appassionati bevitori: il vino senz’alcool. Si tratta, per l’esattezza, di una bevanda “naturale, analcolica, salutistica e dissetante, consigliata come succedanea del vino”, realizzata mescolando “montepulciano d’abruzzo doc, cerasuolo 97,4% (vino dealcolato); saccarosio: 1%; inulina: 1,6%; aromi naturali: 0,0005%; E353 acido metatartarico; E414 gomma arabica; E220 anidride solforosa; E300 acido levo ascorbico (Vitamina C) per proteggere gli aromi naturali e il colore”. La bevanda a base di vino, non propriamente un vino, è stata presentata sul mercato alcune settimane fa. La sua apparizione ha fatto parlare molto ed ha aperto da una parte ad erudite discussioni degustative, ma dall’altra ad interessanti riflessioni su come si fa il vino, quello vero. Quello con l’alcool, per intenderci.

Incominciamo col dire che la ditta marchigiana produttrice ne parla proprio come fosse un vino (in versione rosso o rosé). Sul sito aziendale si legge che le uve maturano in “terreni ghiaiosi e ricchi di microelementi. Il microclima preponderante è dettato dall’influsso positivo delle brezze marine che risalgono il fondo valle per raggiungere le zone pedemontane, creando così le condizioni microclimatiche ottimali per la maturazione delle uve”. Ecco dunque a voi il “terroir” del vino dealcolato! Peccato, però, che nulla si dica sugli zuccheri, sui polisaccaridi e sugli aromi aggiunti. Così poco legati al territorio e alla naturale maturazione delle uve. Una bevanda, insomma, non vino. Però qualcuno non se n’è accorto e la notizia sui blog e sui siti internet è girata, proprio come “vino senz’alcool”. La maggioranza si è limitata a parlare di tecniche, altri di opportunità. Ma c’è anche chi si è messo a discettare su equilibrio, sulla “gradazione… elemento di qualità, non per il sapore dell’alcool in sé stesso, ma per il miglior equilibrio che esso permette di ottenere”. I vini senza alcool, o a bassa gradazione, sarebbero dunque “duri, tannici ed astringenti, mentre i veri fuoriclasse nazionali ed internazionali difficilmente scendono sotto i 13,5/14 gr°”. Opinione, questa, assai diffusa.

Ma il vino senza alcool ha incuriosito anche perché s’inserisce in una ampia discussione europea sul consumo bevande alcoliche. Consumo che si vorrebbe ridurre, per ragioni salutistiche e sociali ben note. E il vino vorrebbe tirarsene fuori. Ad inizio 2007, il ministro per la salute spagnolo, Elena Salgado, ha proposto di proibire la pubblicità di tutti gli alcolici, vini compresi, anche doc. Dure le reazioni suscitate in Spagna, ma anche in Europa. Molti hanno ricordato i benefici effetti di un consumo moderato di vino. Il famoso “paradosso francese” e studi derivati, per intenderci. Ma il sasso è stato gettato e non è il primo. Di basse gradazioni del vino, infatti, si parla da tempo e non solo per ragioni salutistiche. Un vino meno alcolico, infatti, è più facile da bere. E poi c’è la patente a punti. E poi ci sono le accise sull’alcool che in alcuni Paesi picchiano duro. Il “vino” senz’alcool non sarà la soluzione, ma il piccolo problema c’è. Se lo si vuole vedere, ovviamente.

Nel nuovo e nel nuovissimo mondo l’hanno già visto, visto che quasi tutte le cantine si sono dotate di moderni strumenti per l’osmosi inversa, distillazione sottovuoto o a bassa temperatura. Tutta attrezzatura modernissima che può servire anche per ridurre il grado alcolico. Pratica, a quanto pare, non vietata. L’osmosi inversa, in realtà, è presente anche in Europa, dove il suo uso è comunque limitato. Con uno strano strumento a tubi e filtri si potrebbe comunque: a) rimuovere l’acqua dai mosti d’uva, concentrandoli; b) rimuovere le sostanze responsabili di tanti orridi profumi di fermentazione; c) rimuovere l’alcool o l’acidità volatile dal vino. Sono macchinari che stanno facendo nascere tante discussioni fra puristi e modernisti del vino, fra chi li aborre e chi li ama, fra chi li ritiene strumenti di una truffa e chi tecnica indispensabile. Non è però un confronto fra tecnocrati, ma un dibattito filosofico sulla natura del vino: fra ciò che è morale e ciò che è immorale; sui limiti della manipolazione del vino, su quando esso finisce d’essere naturale e diventa artificiale.

La tecnica dell’osmosi inversa è semplice da spiegare: si tratta di togliere con filtri, tubi e pressioni una parte del mosto, prima o dopo la fermentazione. Risolve un sacco di problemi. Le uve, infatti, raggiungono la maturità fenolica (profumi, colore ed aromi) indipendentemente dalla maturazione zuccherina. Regioni particolarmente calde hanno il problema che la rapida accumulazione di zuccheri può imporre una vendemmia prematura per la maturazione fenolica completa; di contro, nelle regioni del nord, per raggiungerla si deve correre il rischio di posticipare il momento della vendemmia, esponendosi alle piogge autunnali. L’osmosi inversa risolve entrambi i problemi: accesso d’alcool? Lo si rimuove dal vino finito. Troppa acqua? Si concentra il mosto prima della fermentazione.

Il “vino senza alcool”, dunque, lo si può già fare. E lo si fa, infatti, da tanto tempo. Basta fare un “giro” sulla rete per trovare alcune ditte italiane che lo producono da anni. Mercati di riferimento: i Paesi arabi, gli intolleranti all’alcool, alla solforosa… i bambini. A volte vengono aromatizzati alla fragola, alla pesca, all’arancia, alla mela, ai frutti di bosco… Fanno fatica a slegarsi dalla paternità alcolica del vino. Vengono infatti quasi tutti vestiti con bottiglie di vetro, etichette, capsule e tappi. Nelle schede tecniche si parla di “raccolta delle uve”, “uvaggio”, “terreno”, vendemmia”, “abbinamenti gastronomici”… Continuando così ad aumentare l’ambiguità di un “vino” che non può essere vino.

I produttori tradizionali, comunque, se cambierà il gusto collettivo, che privilegia i vini ricchi di alcool, o se la legge diventerà draconiana, avranno già i mezzi per produrre una bevanda analcolica a base di vino. Così come oggi concentrano, domani dealcooleranno. Il fantasma girerà ancora.

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