Il girolago del Maggiore

Il Lago Maggiore è un’entità astratta: esiste nella geografia ma nella storia è sempre stato diviso. Ieri e l’altroieri. Ma oggi sta per essere unito dalla gastronomia e dai vini. Vini così rari che si possono per loro stessa natura definire “da collezione”.

Il passaggio di questo processo unitario potrebbe partire dalla rassegna gastronomica “Sapori di lago”, che si è tenuta Stresa, nel settembre scorso. Una folta delegazione di cuochi appartenenti all’Associazione Cuochi Alto e Basso Novarese e Vco ha lì infatti organizzato una kermesse gastronomica in cui il tema era la riscoperta (per certi versi la “scoperta”) della cucina del Lago Maggiore. Una cucina dunque basata, non è così ovvio, sui prodotti che stanno dentro il Lago e non intorno. Nessuna cucina, allora, lombarda e neppure piemontese; nessuna carne, insaccato, verdura estiva od autunnale… ma solo pesce, delicato pesce di acqua dolce.

Le ricette avevano tutte titoli di fantasia, perché –anche se apparentemente tradizionali- erano in realtà nuove, creative, inedite… Insalata lacustre, Bauletto di salmone e lavarello affumicati, Rotolo di salmerino, Rotolo di coregone con spinaci e toma ossolana, Paté di gardon, Gardon marinato all’aglio, Carpione di nonna Angela, Filetti di lavarello in carpione, Cocotte di salmerino e porcini, Bruschette con la trota di lago marinata,, Tortino di gamberi di fiume e broccoli, Tartar di trota del Maggiore… e così via.

Dicevamo che le ricette erano “apparentemente tradizionali”, perché una vera e propria tradizione gastronomica basata sui pesci del Lago Maggiore non esiste. Il pesce è stata una vivanda negletta per secoli; cibo esclusivo delle popolazioni rivierasche: fresco, conservato sotto sale o secco; cucinato in maniera semplice. Poi gli stock ittici depredati dall’inquinamento; l’abbandono dei mestieri tradizionali; l’arrivo, infine, del pesce di mare, sentito più buono, più alla moda…

È stato proprio l’arrivo, la moda del pesce di mare che, unita ad un miglioramento delle acque, a lanciare il consumo di pesce di lago: non solo patrimonio di qualche ristorante per turisti (ma poi da dove arriva il pesce servito?), ma presente anche nel menù di ristoranti alla moda; ritornato sulle tavole dei lacustri d’antan o d’adozione.

La cucina come legame fra le sponde? Sì, anche se Province e Regioni e stati non si parlano ancora in tal senso: basta leggere le proposte turistiche e gastronomiche per rendersi conto che un po’ tutti sul Lago Maggiore vogliono valorizzare la cosiddetta cucina tradizionale. Che altro poi non è che la cucina “inventata” da cuochi come quelli di Stresa.

E, poi, oltre alla cucina, ai prodotti del territorio, sta facendo capolino anche il vino “del Lago Maggiore”. Un vino che da decenni sembrava sparito e che, invece, ora sta ritornando. A sud premono i vini delle Colline Novaresi: zona non proprio di lago ma assai vicina. Una zona che da anni collezionista di premi. Piacciono sempre più i ghemme docg, i fara e i boca doc, i rari sizzano doc. E poi si fa anche vino bianco (poco), vino passito (pochissimo), vino rosato (meno del meno). Si tratta di vini buoni e radi, a base di uve nebbiolo, vespolina, uva rara, erbaluce… uve locali, tradizionali come i pesci di lago cucinati a Stresa. Più a nord, sulla sponda piemontese, sono spariti quasi tutti i vigneti, anche se non mancano piccole proprietà private nel Vergante, sul Lago d’Orta e fin su in Svizzera.

Paese, quest’ultimo, dove la coltivazione dell’uva non è mai venuta meno. Là è soprattutto l’uva merlot a farla da padrona. Di solito ci ricavavano un vinello leggero, fresco e beverino; ma alcuni produttori, con diradamento e passaggio in barrique, hanno creato vini importanti: tanto colore, ricchezza di profumi, grande corpo ed alto tenore alcolico: Vini rari e costosi. Difficili da trovare.

Ritornando in Italia, lungo la sponda lombarda, troviamo i vini igt dei Ronchi Varesini. Ultimi nati, una delle più recenti riscoperte dell’enologia nazionale. Infatti, da alcuni anni la viticoltura è ritornata in provincia di Varese, sulle colline intorno ad Angera. Ad opera di uno –per ora- sparuto gruppo di imprenditori che sanno coniugare benissimo business, innovazione ed arte. Tanta arte.

Sicuramente da ricordare sono i produttori della Cascina Piano di Angera: Franco Berrini –ex dirigente industriale- e Pier Giorgio Fabiani. I due, oltre ad essere vignaioli, sono anche i patrocinatori dell’igt varesina, nonché di un progetto di valorizzazione dell’enogastronomia provinciale che merita attenzione. I loro vini fanno sempre riferimento in etichetta a qualche particolare storico ed artistico del territorio. Il San Quirico, per esempio, ricorda il colle più alto di Angera, con in cima una chiesetta, meta di processioni devozionali. Viene fatto con un un taglio di chardonnay e trebbiano. Il Sebuino, invece, è un uvaggio di barbera, uva rara, nebbiolo, bonarda dell’Oltrepo ed “uva dello zio” (forse bonarda piemontese). Sull’etichetta una curiosa processione vinaria, un frammento di affresco della chiesa di S. Alessandro, sempre di Angera. Sulla retro etichetta, hanno messo una simpatica ballata in dialetto. Solo un verso: “la vegia tuntuna la bala e la sona”. Ma in ogni retro etichetta le poesie, le filastrocche da osteria, i canti tradizionali si rincorrono. Per esempio, sulla retro etichetta del terzo vino prodotto, L’Angliano, un uvaggio barriquato (nove mesi) di nebbiolo, croatina, vespolina e merlot, si legge, fra l’altro, “Un bicier l’è poch/due bicier hin mia assée/ tre bicier van al cor/ quasar bicier almen/ ga na vor”…

Il cerchio intorno al Lago si chiude. I vini lo stanno circondando. Stanno circondando questa enorme riserva di acqua dolce dove si pescano quintali di ottimo pesce. Il Lago si sta, alfine, unendo. Anche se fra pesci lacustri e vino locale il rapporto è paradossalmente difficile difficile. Si tratta, infatti, quasi sempre di pesci dalle carni delicate e di vini rossi, corposi: più adatti alla carni e ai formaggi stagionati. Che fare?

In cucina ce la potremmo cavare con una saporita salsa, una farcitura importante. A parole, invece, ce la possiamo cavare diversamente. Leggiamo su una bottiglia di vino lacustre un motto da teppa d’altri tempi. Fa al caso nostro: “El bon vi nel fa bon sang/ fin che dura pan e vin/ se po’ impipassen del destin”. Ecco “impippiamoci” dell’abbinamento sbagliato. I sapori di Lago sono così: buoni, ribelli, desiderati, difficili da conciliare.

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