Ghost town

Castagnole Monferrato assomiglia ad una “ghost town”, una cittadina in gran parte abbandonata. Almeno nel suo centro storico (la parte distintiva di una comunità). Un abbandono probabilmente frutto di emigrazioni professionali, di famiglie che si sono spostate, di piccole economie agricole in disfacimento, di di… Non so, ma so che fa impressione vedere una “ghost town” fatta di case scrostate, cancelli ruggini, negozi abbandonati, persiane chiuse… Pioveva ed era freddo domenica l’altra, quando con alcuni amici siamo andati a visitare l’azienda agricola Vigna del Parroco, per assaggiare il suo ruchè (o ruché, non so quale accento sia meglio) e il suo barbera; pioveva e faceva freddo, ma non era per questo che c’era il vuoto pneumatico per le strade e dietro alle finestre. O meglio: in piazza qualcuno s’intravedeva, ma lungo la via che ci ha condotto al ristorante, nessuno. Ad un certo punto, ho alzato la testa sentendo un rumore: una giovane donna velata (di bianco) stava chiudendo le persiane. Stranieri. Migranti. Periferia d’Italia, periferia del mondo.

Eppure il ruchè è un vino molto buono, che sta avendo un indiscutibile, piccolo successo. Ma è un successo che non sembra bastare per salvare una comunità o per evitare che si trasformi in una periferia di campagna. Il ruché è frutto di un’uva prima volta vinificata dolce, poi secca. Un vino direi semiaromatico, dal bouquet riconoscibile e ricco di profumi (viola, rosa, spezie…). In bocca è discretamente corposo, asciutto, equilibrato. Da bersi non giovanissimo: meglio due anni dopo. Da Francesco Borgognone abbiamo assaggiato l’annata 2008 e l’annata 2006. Più ricca di profumi la prima, più austera la seconda. Più fiori la prima, più frutta rossa la seconda. Peccato avesse finito il 2007. Ci ha poi offerto la sua barbera mai giovane, in questo caso del 2006, che ha profumi ricchi ma non potenti, gusto piacevole, equilibrio, corpo. Ci è piaciuta. Un plauso a lui e sua moglie che, con spirito giovanile, ci hanno accolti, fatto assaggiare, fatto mangiare, dato retta… Attivi, pur in età da pensione. Dal 1994 hanno comprato le vigne del mitico don Giacomo Cauda, il primo che ne vinificò la versione secca. Ma, fra un bicchiere e l’altro, le parole preoccupate di Francesco “i giovani sono pochi… il ruchè ha suscitato interesse, ma le aziende sono venute da fuori a fare investimenti”. Mentre lo diceva, pensavo fosse esagerato. Camminando poi per le strade ho capito che aveva ragione…

Nella “città fantasma”, brillava la luce del ristorante scelto per noi. Nome in stile, Il Merlo Ghiottone, cibo non male, tradizionale. Peccato, però, discutere perché eravamo “solo 25” sui “29 prenotati”; peccato però che avesse capito che volevamo il menù degustazione, mentre noi volevamo solo gli antipasti e i primi e poi il resto a scelta; peccato però che abbia fatto pagare i bambini, tre, come adulti; peccato che ci abbia fatto pagare anche per gli assenti; peccato perché la cameriera, rumena, non sorrideva mai e non capiva molto; peccato perché abbiamo dovuto chiedere più volte il conto; peccato perché ce l’hanno fatto sbagliato… peccato. Ma questa è un’altra storia. E poi in una “città fantasma”, i vivi possono essere più fastidiosi degli scomparsi.

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