Dopo il gastrovac, ecco il Roner

Dopo il gastrovac, ecco il Roner

Questa storia della capasanta al fernet (vedi sotto) mi ha fatto ricordare che l’anno scorso sono incappato per ben quattro volte in un altro moderno apparecchio da cucina: il Roner Digital Thermostat. Cosa è il Roner? Cosa serve? Come appare? Cominciamo da quest’ultimo aspetto. Appare modesto, per niente mefistotelico come il gastrovac: una vasca in metallo, sormontata da un lato da un’apparecchio che sembra un termostato digitale o poco più. Leggiamo: “il Roner permette di cuocere a bagnomaria a temperatura controllata e con l’acqua in movimento per garantire una temperatura identica in tutto il recipiente”. Inoltre “consente di controllare con la massima precisione la cottura sottovuoto a bassa temperatura, tra 5C° e 100 C°. Può essere adattato a ogni tipo di recipiente in funzione del tipo e della quantità di prodotto da cucinare”. Per cosa può essere usato: “cottura di prodotti previamente confezionati sottovuoto (carne, pesce, pollame, verdure, terrine, paté, marmellate, conserve, oli aromatici….); pastorizzazione di pietanze cucinate con tecniche tradizionali; rigenerazione termica di elaborazioni finite e confezionate sottovuoto”. Vantaggi? Si evita la perdita di liquidi, si rispetta la struttura naturale degli alimenti, si stabilizzano gli aromi ed i sapori, si prolunga la durata degli alimenti, si cuoce in maniera uniforme, si può cucinare anche in assenza di un cuoco (notte) e anche a distanza…

Io l’ho trovato a San Maurizio Canavese (due volte), a La Credenza, al Dolce Stil Novo di Venaria Reale, a L’Enoteca di Canale. In tutti i cinque casi, il Roner è servito per cuocere delle strepitose uova (cotte ma morbide, il tuorlo filante e l’albume quasi gelatinoso) che si sono accompagnate con salse alla vaniglia (Dolce Stil Novo) e asparagi; con tartufi bianchi a lamelle, oppure porcini, mandorle tostate e piccola fonduta per sostenere a La Credenza; con schiuma di burro e speck e lamelle di porcini e tartufo nero a L’Enoteca di Canale.

Non so quanto costi il Roner, ma se ce ne fosse una versione casalinga, la comprerei: ha ri-nobilitato le uova. Elemento ben presente nella grande cucina classica, poi sparito credo in virtù della banalizzazione e della pessima immagine degli allevamenti intensivi.

Sì, infatti, importante è la qualità dell’uovo. Non basta il Roner. Ci vuole un ottimo prodotto. Non so da dove arrivassero le uova usate alla Credenza. Buone erano buone. So invece che erano di Paolo Parisi quelle de La Credenza e di Olivero quell’uovo assaggiato a Canale. Parisi è un mito nell’alta gastronomia: alleva le sue ovaiole livornesi all’aria aperta nutrendole solo di cereali e latte di capra; Olivero le alleva pure lui all’aperto, ma le nutre con mais e piselli proteici coltivati appositamente in azienda con metodo biologico, per cui anche le uova sono bio.

Io nel Roner, noblesse oblige, ci metterei le nuova di mia madre: quattro ovaiole, infatti, da anni razzolano nel prato e fanno delle uova colorate dal guscio bello duro. Il loro sapore sarebbe ben esaltato dal Roner… La tecnologia fa bene alla natura. Alla faccia di chi ne ha paura…

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One thought on “Dopo il gastrovac, ecco il Roner

  1. In realtà, adesso che ci penso, il Roner l’ho visto coi miei occhi a La Credenza; da Russo non l’ho visto direttamente, ma solo in un video che ritraeva la sua avveniristica cucina; a Canale, invece, nulla, ma sono portato a credere che l’abbia usato… l’uovo aveva il suo tratto distintivo…

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