Dieci anni fa

Dieci anni fa, i vini “naturali” che ier sera mi ha fatto assaggiare l’ex allievo Mattia Trentani, maitre, sarebbero stati oggetto di dileggio e di scherno. Oggi, invece, allo stesso tavolo due increduli degustatori, uno maroniano ed uno ais, s’interrogavano sui canoni del gusto contemporaneo, alla gente che intorno a loro sembrava apprezzarli assai. Il primo diceva al secondo: “ma secondo te, dieci anni fa, cosa avrebbero detto di questi vini in una degustazione?”. “Mah – rispondeva il secondo- certo che li avrebbero bocciati. Ma ora è diverso. Infatti, io dico che si deve giudicare caso per caso”. Già, “caso per caso”: allora cosa dire del Sabre di Tommaso Gallina (Castelletto Merli Al), un vino “non spumante” ma ricavato come “una volta”, con un metodo che il relatore ha definito “ancestrale”. Leggo sulla brochure “vinificazione in rosso dell’uva cortese (cioè a contato con le bucce? Ndr)… fermentazione spontanea… follature… imbottigliato prima della fine della fermentazione… naturale presa di spuma… sedimento di lieviti sul fondo… senza solfiti aggiunti”. E come era? Colore arancione scarico; al naso note acetiche e profumi di ossidazione; in bocca sapido, amaro, carbonico, leggermente tannico. Come faceva il nonno? Non credo ma intrigante. Discreto. Il pubblico presente alla degustazione aronese (al Wood, locale giovanile ed impegnato) non ha fiatato ed ha bevuto più e più volte. E che dire del Fricandò dell’Azienda Agricola Biodinamica Al di Là del Fiume, di Marzabotto (Bo). Un vino, leggiamo, “bianco secco… macerato con bucce per 10gg… albana… no lieviti… no enzimi… no chiarificanti… no stabilizzanti… no filtrazione… anidride solforosa totale all’imbottigliamento 26 mg/l”. Come era? Un vino dai profumi lievi, con leggera note acetiche; in bocca asciutto, amarognolo. Sufficiente. Ed infine: l’Oso 2012, sempre di Tommaso Gallina. Vino “ottenuto dalla vinificazione in purezza dell’uva Ruchè… fermentato spontaneamente… il mosto è stato pressato ed infine è stato messo a riposare in acciaio fino alla vendemmia successiva”. Un vino che si apre lentamente, anche se fa un po’ specie per il mix di note acetiche e profumi tipici del ruchè; in bocca è strano: appena in bocca è dolce, poi asciutto, poi allappante ed infine ancora dolce. Anche qui dubbi e domande. Io direi sufficiente, ma gli altri avventori erano entusiasti: sta cambiando il gusto? Se fosse, saremmo di fronte ad una svolta epocale, direi. Noi non beviamo più i vini dei romani; domani non berranno più i nostri?

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