Daniele Preda, cuoco

Ecco, lo immagino già che: se lo incontrerò nell’aldilà (se c’è e me lo auspico) mi chiederà della stecca di sigarette che gli devo da anni. E sì, gli avrò scroccato negli anni una trentina di sigarette e lui da un po’ di meno me ne chiedeva il pagamento con gli interessi. Quando lo incontravo, me lo chiedeva sempre. Era un debito e non era una battuta, perché Daniele Preda era così: voleva sempre essere pagato! Era un insegnamento forte che dava anche ai suoi allievi a scuola, alla scuola alberghiera di Stresa, dove insegnava cucina. Il lavoro, certo, ma anche certezza dei pagamenti. Ed ora manca tale popolare concretezza in un mondo di stagisti, chef star e personale sottopagato. Lui, invece, si faceva pagare. E anche bene. Era bravo: aveva lavorato un po’ ovunque nel mondo, era stato tanti anni docente di cucina, era consulente di aziende (sua la mano che ha modellato le maniglie delle pentole Piazza), autore di libri e ricettari di cucina. Amava la cucina classica, quella da albergo svizzero per intenderci, ma anche la cucina popolare novarese; aveva assorbito un po’ la nouvelle cuisine, ma era assai restio nei confronti della creatività e della cosiddetta cucina molecolare di cui non si sentiva interprete.

L’ho incontrato parecchie volte e la sua scomparsa m’intristisce e di lui voglio ricordare alcuni frammenti: quando conobbe mio figlio Filippo di pochi mesi e da allora aveva sempre una parola per lui: chiedeva, voleva sapere… e Filippo è da anni legato a quello strano, lontano zio; lui che insegna alle Pro Loco novaresi i segreti di una cucina buona per tanti; lui che cucina a scuola per i soci Hospes; lui che brontola e inneggia a “lui” e a un ordine mitizzato; lui che ce l’ha col sud del Paese; lui che usa il mestolo della polenta per educare gli studenti pigri; lui che si pavoneggia con i suoi titoli di super cuoco, con medaglie e decorazioni; lui che misura il mondo con il denaro: bravura e denaro, binomio indissolubile. Se sei bravo, ti devono pagare. Stop!

Era un grade cuoco: sì, direi di sì. Non uno chef, un cuoco valido. Aveva difetti? Tanti. Ma era bravo e simpatico e così lo ricorderemo. Ghemme ha perso uno dei suoi figli notevoli, la cucina novarese uno dei suoi interpreti migliori, il mondo un professionista concreto e solido. Sì, le sigarette. Ok!

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