Finalmente sono riuscito a mangiare Da Pepi, a Trieste. Un buffet tipico mitteleuropeo con carni di maiale bollite, anzi cotte in caldaia, e poi salse nordiche come il rafano (o cren o kren che si voglia), senape e birra.
La chiusura di molti uffici per il covid e per l’estate, e gli ampi spazi esterni mi hanno permesso di trovare un tavolo libero in questo locale storico (“dal 1897”), in cui più volte avevo cercato di entrare.
Anche stavolta però temevo il peggio: ero infatti con due signore. Temevo che un locale così diretto, così carneo non gli piacesse e che mi costringessero ad optare per altro. Invece no, hanno entrambe preso generosamente dal piatto di carni miste e salse. Contendendomi pezzo su pezzo. Infine entrambe mi hanno detto di aver mangiato bene e che ci ritorneranno.
Magico Pepi che piace anche alla signore italiche!
Ma ecco un po’ di storia dal sito del locale: “Pepi S’Ciavo… nel 1897. Il suo creatore è Pepi Klajnsic, che inaugura il locale triestino… Il nome Pepi S’ciavo, utilizzato fino al 1952, significa Pepi lo sloveno ed è legato anche alla curiosa abitudine triestina di affibbiare soprannomi a tutti, tradizione in uso fino agli anni Sessanta. Dal 1908 al 1914 Pepi S’Ciavo viene gestito da Paolo Tomazic che lo riapre al termine della prima guerra mondiale. È in questo periodo che inizia la collaborazione con il cugino Pepi e con suo cognato Giusto Colja. Nel 1925 Paolo muore e il fratello Giovanni decide di cedere la sua parte di attività a Pepi. Il locale si amplia al punto di avere due fori nel 1927; il trattamento è ottimo e il gestore cordiale: l’affluenza aumenta tanto che si rendono necessarie nuove braccia al lavoro: Pepi assume i cognati, Zdenko ed Emil, e il banconiere, Carlo Čok, che resta fedelmente in servizio dal 1932 fino al 1972. Il lavoro da allora non è mai mancato: clienti di tutti i ceti sociali ne fanno il loro punto di ritrovo sia per il cibo unico e genuino, sia per la simpatia e l’informalità dell’atmosfera; non guasta poi che il servizio sia sempre veloce e affidabile.
Chi lo frequenta all’epoca sono persone del quartiere ma anche lavoratori del centro, clienti abituali e saltuari, triestini e non, in un contesto di respiro internazionale insito nell’atmosfera triestina. Ricordiamo tra i più celebri dei suoi avventori: il conte di Spoleto, il principe Tripcovich, il barone Bonomo, il principe Torre e Tasso.
Un momento tragico, forse l’unico in anni di attività, è la condanna a morte nel 1941 del figlio di Pepi, Pinko, e il successivo incendio e saccheggio del locale. La proprietà passa quindi a Carlo Čok, dipendente ormai fidato, di nuovo costretto a chiudere fino al 1945, quando subentra Emma Colja, vedova di Pepi, morto nel 1944 nel tragico bombardamento di via Rossetti. La signora Emma, ultima erede, insieme ai suoi fratelli, amplia ulteriormente l’attività: nel 1952 il locale assume le attuali dimensioni.
I piatti tradizionali e gustosi come le porzine e capuzi aumentano vertiginosamente l’afflusso di clienti e si rende necessario aumentare di conseguenza anche la forza lavoro, assumendo i giovani Elviro, Albino, Darko, Paolo ed Elvio. La signora Emma, raggiunta l’età pensionabile, cede la gestione del buffet agli ultimi tre e di comune accordo il nome Pepi S’Ciavo viene cambiato nell’attuale Buffet da Pepi”.