Andreuccio Forever

Leggo sempre volentieri la novella di Andreuccio da Perugia, quella del giovane commerciante che perde il denaro per colpa del suo ego, di una maladonna e che però se ne torna a casa con un anello rubato, dopo aver fatto suo malgrado combutta con una banda di ladri. Nella novella Boccaccio non dice nulla di morale, di etico. Lui se ne scappa velocemente da Napoli “la qual cosa egli fece prestamente e a Perugia tornossi, avendo il suo investito in uno anello, dove per comperare cavalli era andato”. Sembra normale, leggendo, che un commerciante rubi; non per scelta, per carità, ma essendoci l’opportunità si fa. Andreuccio non è un ladro in senso stretto, ma ne approfitta. Poi il furto (perché tale è) non è ai danni di un privato pari di Andreuccio, ma nei confronti di un’entità astratta: la Chiesa.

Roba antica, voi direte. Non credo, la Novella mi è tornata in mente in questi giorni sentendo le notizie su un ministro imprenditore accusato di aver usato l’opportunità per far soldi, non un furto vero e proprio, almeno così appare, ma solo l’utilizzo distorto di regole tese al benessere sociale usate per il benessere individuale. Attendiamo. Nella Novella, a dispiacersi della sparizione dell’anello saranno stati in pochi; nella modernità, invece, tanti: dalla collettività ai singoli individui. 

Colpisce però l’analogia: il borghese sembra essere sempre lo stesso, un po’ commerciante ed un po’ farabutto. Un anello sembra essere sempre lì da prendere: o dalle mani dei dipendenti, dei fornitori o di un’istituzione!

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