Riflessioni su vino, politica e libertà di pensiero
Ieri sera ho partecipato a una degustazione di vini a casa di amici generosi. Durante la serata ho percepito da alcuni una forte antipatia, quasi un fastidio, nei confronti di tutti i manifestanti pro-Palestina, definiti in modo sprezzante come “proPal”. Non ho insistito, non ho chiesto né approfondito: eravamo lì per parlare di vino, non di politica.
Si è discusso di vino però con altre “chiusure” che ho sentito anche nei confronti del vino che avevo portato e del concetto di vino vegano. Al contrario, curiosamente, un vino assai particolare, un vino “arancione” portato da un altro amico ha suscitato un certo interesse. Vegano no, Orange sì. Boh!?
Non capisco fino in fondo queste chiusure pregiudiziali, anche se, in realtà, credo di intuire il motivo. La politica, la lettura del mondo è ormai è diventata un gioco di schieramenti: o stai da una parte o dall’altra. In mezzo, apparentemente, non c’è spazio. O meglio, ti fanno credere che non ci sia.
Eppure si può essere a favore del popolo palestinese senza per questo essere contro Israele; si può condannare una guerra di distruzione di massa e, allo stesso tempo, riconoscere il diritto di Israele a difendersi. Allo stesso modo, si può accettare un pensiero etico come quella vegano, senza aggredire chi non concorda. E viceversa.
Insomma, si può essere critici senza essere schierati, si può auspicare il ragionamento invece del pregiudizio, pensare agli altri come avversari e non come nemici, accettare le opinioni diverse senza ricorrere all’insulto.
Anche per quel che riguarda il vino, mi piace la posizione di chi lo assaggia e lo valuta senza infingimenti né pregiudizi. Non mi piace, invece, chi dice semplicemente “fa schifo”, perché non significa nulla. I vini sono una questione di gusti, di sensibilità, di racconto, di esperienze personali. A meno che non sappiano di tappo — ma quella, naturalmente, è un’altra storia.