Racconto per All’Utimo Sorso
Siccome non potrò partecipare alla bella iniziativa “All’Ultimo Sorso: Sfida Enoletteraria per Curiosi di Vino e di Cibo” che organizza la Trattoria Concordia di Verbania, il fine settimana prossimo, ho scritto di getto un breve racconto ispirato al nebbiolo, ai miei amici, alle mie passioni e all’atmosfera un po’ lugubre di questo giorno di pioggia (e freddo). Sono stato fra le duemila e le cinquemila battute, come prevede il regolamento, e sicuramente domani, quando lo rileggerò, non mi piacerà più: un abbozzo e sempre un abbozzo… Magari, però, una menzione -non dico un premio- l’avrei avuta!
Copia incolla il nebbiolo
“Il nebbiolo, sai… come dire… prendilo, fa copia incolla con i tuoi gusti!”. Mario era il solito, usava l’Italiano come un pittore astratto. O meglio surreale. Mi voleva dire solo che era adatto, si abbinava bene… Cose facili, ma lui no! Lui cercava sempre la frase, la parola ad affetto. Sue sono le serate “dello zucchero zigrinato”, della “mozzarella montanara” e del “copia incolla” che usava un po’ ovunque nei ragionamenti.
Non so, era difficile stargli accanto. Telefonava poco e nemmeno rispondeva. Meglio non contare su di lui. Amava la compagnia, ma vista come terapia di gruppo. Sai, tipo “ciao sono Riccardo e sono un alcolista… sono tre mesi che non bevo” e via applausi. Lui quando era depresso, stanco; oppure vedeva qualcuno stanco o un po’ depresso, organizzava una serata, una cena, una manifestazione da gestire… faceva della terapia, appunto, di gruppo e poi spariva nelle sue solitarie scorribande lavorative, forse erotiche (ogni tanto, infatti, appariva con una fanciulla, una signora: sempre diverse. Al punto che noi ci dicevamo: “è come Mario, gli piacciono tutte!”).
La terapia funzionava in parte o non sempre, ma lui non demordeva: “per me sbaglia –diceva di un amico un po’ solingo- deve uscire, stare con gli amici, fare “una serata””… parafrasando le canzoni degli Illeciti (“Dici che non hai più tempo per passare una serata… ma quanto tempo a dirlo hai perso già?!”) tan tan tan… e così, fino a tardi: musica, bere, mangiare… l’ho visto, Dio mi è testimone, affondare la bocca su uno stinco di maiale alle due di notte! Ma faceva anche altro…
Ci piacque quella volta in cui volle affrontare un’escursione in montagna per far assaggiare del vino a degli alpinisti. E poi dormire in quei lettini a castello: io fuori i piedi e lui che non riusciva a dormire in quello spazio ristretto. E Andrea nella notte sul sentiero verso casa (ma come avrà fatto a non perdersi? Ancora oggi me lo chiedo!); o quella volta che mi portò in una grotta dove “si sentono i profumi meglio” e noi lì a dividere con degli speleologi (ma che freddo! Brrr)…
Non gli piaceva il nebbiolo in particolare. Li beveva un po’ tutti, i vini. Anzi ora che penso non mi mai detto che vino preferisse. Ne bevevamo molto insieme, quando ci vedevamo per la terapia di gruppo, ma lui pensava sempre a me e mai a lui: “ho preso questo vino, il tuo genere… senti che profumi, asciutto… ti piacerà”. Una volta in Borgogna fece arrabbiare un cantiniere, dicendogli che non era il vino adatto a me. Che lasciasse perdere… pinot nero. Mi voleva bene? Ero per lui un fratello? Non so.. ma a me il nebbiolo piace e lo dico. O meglio piaceva, visto che fra un po’ me ne andrò.
Sì, scrivo queste righe per ricordarlo. Le metto “nella bottiglia”. Non si fa vedere più da settimane. La sua terapia di gruppo non serve per un tumore. Forse è disarmato di fronte a ciò che non si può risolvere con “serate”, degustazioni, stare insieme… O forse è solo impegnato con il lavoro e con l’ennesima femmina. Lo invidio un po’: avevo sempre pensato che avrei aperto dopo il suo funerale le poche bottiglie di ghemme, gattinara, barolo… che conservo nella mia striminzita cantina. Però le ho lasciate a mio figlio che le apre e me ne porta un po’ per volta, di nascosto. “I medici sai, papà”… Lui cosà farà? Andrà a fare copia incolla con altri; altri malati di solitudine da salvare. Forse.
Mi scoccia un po’ essere affidato per gli ultimi ad un santo con le piaghe. Eremita. Avrei preferito stare in un hospice che portasse il nome di un santo guerriero, Giorgio o Michele o Martino, ma così è. Però i cani mi sono sempre piaciuti. E il nebbiolo? Ha fatto copia incolla con la mia vita. Ne ho bevuto tanto ed in ogni occasione. E come m’insegnò la Yourcenar, ho scritto un motteggio in prosa dedicato ad una signora ed a un uso improprio del ghemme… forse c’è ancora all’ingresso delle grotte in Valle. Ho usato il “verme” del cavatappi… Per Lei siamo “come l’acqua che scorre”; io penso al nebbiolo.
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