La storiella senza senso della pasta “fascista” mi ha fatto tornare in mente il Futurismo, la colonna portante della cultura del primo fascismo (quello rivoluzionario, sansepolcrino). I futuristi detestavano la tradizione e “combatterono” una simbolica battaglia conto la pastasciutta, emblema di “passatismo”, come i musei, il romanticismo, etc etc. Appesantiva, rallentava, rendeva lenti…
Fu una “battaglia” senza vincitori: la pasta continuò il suo corso, la cucina però fu resa più cretiva, i futuristi e gli autarchici privilegiarono il nazionale riso.
La pasta, d’altra parte, aveva già vissuto tanta storia di suo. E forse rileggere un libro potrebbe aiutare a non cadere in polemiche inutili. Leggo infatti su “Maccheroni e Spaghetti” di Massimo Albertini, Piemme Editore, a pagina 29: “a fine Ottocento i ditalini rigati… vennero chiamati anche garibaldini. Forse fu Casa Savoia (o la figlia di u pastaio) a far catalogare come mafalde o mafaldine le fettuccine ricce: che ebbero però dalla Libia (conqiustata nel1911 ndr) i nomi di tripoline e bengasine, così come lo sbarco nella Baia di Assab, sul Mar Rosso, nel 1882, aveva dato il via agli assabesi (delle grosse conchiglie) e, poco dopo, ai consimili, ma più piccoli, abissini. Chinesi e chinesti (conchiglie) esistevano da tempo. Il tentativo di lanciare dei fasci littori non ebbe esito, più per ragioni di cottura che politiche”. Sul libro non mancano altre storie di formati, da giugiaro ai futuristi, fino alla bella immagine scherzosa di retro alla copertina, formati impossibili, che io propongo nelle foto e che richiama, curiosamente, la ditta al centro delle polemiche odierne. Io, da parte mia, oggi un bel piatto di pasta non me lo nego. Abissini, spaghetti o mezze penne… ora decido!