La lingua che verrà…

La lingua che verrà sarà simile a quella del Vinitaly, manifestazione fieristica da noi “wine lovers” assai amata, dove si sperimentano nuovi lemmi, neologismi, contaminazioni limguistiche varie. A partire dal titolo, figura mitologica metà italica e metà angla. Come sarà la lingua del futuro? Contaminata, direi: parole di tante provenienze, nelogismi “english style” e così via… Se aveste aperto la cartina dell'ultima edizione della Fiera (magari l'avete fatto, l'avete ancora… guardate) vi sareste trovati di fronte ad alcune, simpatiche e comprensibili creazioni linguistiche. Lo slogan, in primo luogo: “The world we love” e poi il “claim” della Fiera: “Another love story in Verona”. Fin qui nulla di tanto nuovo: l'inglese, il “basic english” è ormai patrimonio di tanti. Ma faceva un po' sorridere la mappa delle regioni dove -da sinistra verso destra- Abruzzo, Valle d'Aosta, Liguria e Puglia erano rimaste tali, nel nome ovvio; mentre Piemonte era diventato Piedmont e la Toscana, in linea, Tuscany. Basilicata, Calabria, Molise, Umbria e Veneto -di contro- nel solco della tradizione. La Sardegna, invece, era diventata Sardinia (inglese o latino?)… e le Marche, Marches. Meglio il nome italiano, direi. Nessuna novità, poi, per Friuli Venezia Giulia, Alto Adige (chissà poi perché non usano il tedesco?), Emilia Romagna, Campania, Trentino e Veneto. Manca qualcuno? Certo: la Sicilia che è diventata Sicily e il Lazio, massima originalità, Latium: d'altra parte “Roma caput mundi”… Ah, dimenticavo: la Lombardia non esiste più. Al suo posto una provincia dell'impero linguistico (ed economico) americano: la Lombardy, regione che stava, "naturally", nel Palaexpo che stava al fianco del padiglione Agrifood Club che a sua volta confinava con Sol (non Sun: un errore?). Bello, divertente, creativo… Ma la lingua del Vinitaly con quale futuro confina?

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