La Croatina non è (poi) così vaga

La Croatina non è (poi) così vaga

Dunque, dunque… da dove iniziare? Mah, forse dal fatto che sulla croatina si fa molta confusione fra nomi e diverse tipologie di uve. Forse a partire dall’Oltrepò Pavese dove si fa un vino, fermo o diversamente mosso, a base di uva croatina, che chiamano bonarda. E così, per traslato, il nome del vino è andato ad indicare anche l’uva da cui si ricava. Ma non sempre la stessa uva. Tanto per capirci, con il nome di bonarda piemontese (nome con cui era ufficialmente indicata fino al 1994) o bonarda di Chieri o bonarda del Monferrato si indica un’uva distinta dalla croatina, ma da cui si ricava un omonimo vino: la bonarda, appunto. Non è la sola bonarda, però, la croatina, viene chiamata anche bonarda (sia l’uva sia il vino) in alcune zone dell’Astigiano (Cisterna e S. Damiano dove dà vita al Cisterna d’Asti doc dal 2002), nel Roero, sui Colli Piacentini e nell’Oltrepò Pavese; l’uva rara, altro distinto vitigno, viene detta bonarda di Cavaglià o semplicemente bonarda nel Biellese e in alcune aree del Canavese, nel Vercellese e nel Novarese; un vitigno chiamato bonarda in alcune zone del Roero (e forse da qui diffuso in Piemonte) corrisponde al refosco friulano; una cultivar ancora diversa chiamata bonarda in alta Val Curone (Al) è presente con altri appellativi nel Vercellese e nel Novarese; il neretto duro nei dintorni di Cuceglio, nel Canavese, viene chiamato bonarda ‘d Macoun. In varie zone dell’Astigiano, infine, la neretta cuneese e talora il lambrusco maestri sono erroneamente indicati come bonarda. Mamma mia!

Cisterna in pomeriggio piovoso di metà aprile
Cisterna in pomeriggio piovoso di metà aprile
Bottiglie di Cisterna d'Asti doc
Bottiglie di Cisterna d’Asti doc

Non aiuta a capire la confusione l’origine del termine “bonarda” che alcuni farebbero risalire all’epoca longobarda: il nome deriverebbe dal patronimico longobardo “bono” con l’aggiunta di “hard”, che in longobardo significava “coraggioso e forte”. Mah? Non è una caratteristica comune e dunque non spiegherebbe il proliferare del nome. Un po’ meglio va con l’etimologia del nome “croatina” che deriverebbe da “cravatta”, per indicare un’uva, un vino della festa… Anche qui fragile ipotesi, ma a più ampio spettro.

Dietro a questa selva di parole e di specificazioni, c’è la fatica di far comprendere tipologie e caretteristiche -diverse- dei vini che in qualche modo si rifanno a questa definizione, di bonarda. Ci hanno provato, per esempio, a Cisterna d’Asti -arroccato paesello medievaleggiante- dove hanno organizzato un “Croatina Tasting”, “Nomi e terroir della Croatina”, invitando degustatori da ogni dove ed alcuni produttori dall’Oltrepò e dal Tortonese per rafforzare un’identità uva-vino per ora alquanto confusa. Anche perché i diversi terreni, le diverse coltivazioni e le diverse metodologie di vinificazione portano ulteriore complessità ai vini base croatina. Anche se, sia pur vagamente, i vini dei padroni di casa, cioé i produttori del Cisterna d’Asti doc, si assomiglivano per il mix di profumi di alcol e frutta rossa non del tutto matura, per la spiccata freschezza e per la leggera tannicità finale. Ma bastava assaggiare una bonarda frizzante dell’Oltrepò o una rossa croatina del 2000 del Tortonese per perdere un po’ la bussola. Anche se un qualcosa al naso, comunque, persisteva. Un filo conduttore.

 Parere personale, un po’ per tirare le fila: debbono accompagnarsi al cibo per essere apprezzati, li preferisco un po’ maturi o leggermente passati in barrique. Ciò li rende sempre ricchi al naso ma più morbidi in bocca. Più pronti.

Nel dettaglio della degustazione, in ordine di apparizione: si è iniziato con le dieci etichette locali. Partendo dalle più giovani, del 2011: primo il Terre di Chiesa di Bossotti Vincenzo, dai profumi giovani di frutta e di viola mammola, aggressivo perché fresco, giovane e leggermente tannico in bocca. Più che sufficiente ma da tenere lì; secondo il Cisterna d’Asti di Torchio Piero, giovane nei profumi e fresco in bocca. Ma più pronto rispetto al primo. Più che discreto; terzo il Dragone di Vaudano Gaggìe, con profumi netti di ciliegia e poi un bel bouquet dietro e in bocca fresco ed aciutto. Piacevole. Discreto sette; quarto il Cisterna d’Asti di Socré dai profumi fini di frutta rossa, note balsamiche e in bocca asciutto, fresco. Discreto; quinto il Cisterna d’Asti di Cà di Tulin, sempre alcol e frutta rossa, ma un che di inchiostro sul finale. E in bocca sempre fresco, alcolico e tannico. Più che sufficiente; sesta la croatina di Fassino Giuseppe che era un po’ chiusa nei profumi ma poi si apriva regalandoci il solito mix di frutta rossa ed alcol. In bocca, fresca, calda e leggermente tannica. Discreta sette; settima croatina presentata, quella dell’azienda vitivinicola Mo che ci ha regalato sentori dolciastri e quasi caramellosi nel finale. In bocca asciutto, corto ed alcolico. Discreto; ottava croatina quella de I Musicant di Mo Patrizia (annata 2010). Qui profumi più eterei e meno ricchi di frutta caramellata, in bocca più morbido e pronto. Più che sufficiente; penultima croatina di Cisterna d’Asti, ma superiore: l’etichetta della tenuta La Pergola e suoi profumi di alcol e poi di frutta. Un po’ spenti. In bocca poco persistente, comunque fresco e ancora un po’ tannico. Più che sufficiente; sempre riserva, la croatina Santa Lucrezia della tenuta Fratelli Povero (anche questa riserva del 2010), meno profumata e in bocca sempre fresca, alcolica e ancora tannica. Più che sufficiente.

Il tasting è proseguito con la batteria dei quattro vini dell’Oltrepò: qui la Croatina risponde al nome di Bonarda, ed è ufficializzata dall’omonima Doc nel 1988 (Croatina in uvaggio almeno all’85%), e le viti subiscono meno stress idrico della zona di Cisterna grazie a un suolo più limoso e argilloso. Dalla Bonarda 2012 della tenuta Mazzolino, dai profumi scarsi e per lo più speziati. In bocca viola mammola, fresco ed alcolico. Più che sufficiente; si è passati al Calcababbio 2011 di Monsupello, un po’ chiuso all’inizio. In bocca asciutto, piacevole e caldo. Tannico. Più che sufficiente; poi si è continuato con ilDonna 2009 di Borgolano (unico vino mosso della degustazione): note di fragola e pochi leggeri profumi. In bocca subito morbido, fresco e leggero. Più che sufficiente; si è infine concluso con la Croatina Igt Provincia di Pavia 2007 di Frecciarossa, vino barriquato (e poco altro). In bocca asciutto, non dolce, ma con sapore di marasca. Sul discreto.

La degustazione è terminata con due etichette della Doc Colli Tortonesi: il Montemirano 2009 di Claudio Mariotto, un buon vino dai profumi scarsi ma netti di frutta rossa. Sorprendeete in bocca: pieno, lungo, speziato. Il migliore, a mio giudizio. Si è concluso con Pertichetta dei Vigneti Massa, annata 2000, che dimostra (tralasciando che il vino era ormai alla fine del suo percorso) la tenuta e le possibilità evolutive della croatina. Non per nulla, a giudizio di Walter Massa (uno così, un po’ “naive” ma certo non sprovveduto) “la croatina è il syrah d’Italia”.

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