Barbarie svizzera

Gli svizzeri, almeno da noi al Nord, vengono sentiti come persone precise, ordinate ed anche un po’ noiosette. Anche dal punto di vista gastronomico: monotoni, senza spunti eccessivi di sapore o di piccantezza. Assai più avezzi a patate e formaggi e ad una cucina di vecchio stile francese…

Che sorpresa, dunque, scoprire che le loro tradizioni contemplano anche un piatto assai barbarico, poco elegante, saporito, grasso… sto parlando degli “Oss in bogia”. Dove “Oss” sta per ossa di maiale e frattaglie e “bogia” sta per tinozza di legno in cui queste ossa stanno giorni e giorni a marinare nel vino, spezie, aromi e segreti di ogni genere. Poi vengono bollite: acqua, più acque, o brodo, anche qui a gusti. Patate bollite -questa non è una novità- ad accompagnare.

Si tratta di “parti meno nobili del maiale salate in salamoia e consumate bollite -leggiamo sul sito del “kulinarischeserbe” svizzero- … una preparazione diffusa, ma sempre meno, nel Sopraceneri e in Mesolcina. In una regione piuttosto povera come il Canton Ticino, in cui la carne, almeno fino agl’inizi del Novecento, era cosa rara, i contadini e gli artigiani sono diventati degli artisti nello sfruttare al meglio le parti del maiale meno pregiate. Non c’è nulla che non valga abbastanza per essere messo in salamoia e conservato, neppure le ossa di maiale”. Con qualche boccone di carne attaccato, ovviamente. Ma le ossa sono predominanti e ti obbligano ad usare le mani e a sporcarti dita e bocca. Una tile che poco fa “svizzero”. Ma così è. La carne assume un colore scuro, è saporita, tenerissima; le cartilagini hanno la consistenza dei grassi… In attesa delle foto promesse, ecco una foto presa dalla rete…

Ma leggiamo ancora sul sito svizzero: “Avere un maiale significava possedere una risorsa da mutare in denaro. Dopo la “mazza” le carni magre di prima scelta come il prosciutto e la lonza venivano vendute o usate per preparare salumi da vendere. Le parti meno nobili, gli scarti, erano destinate al consumo domestico. Non si buttava mai via niente, nemmeno le ossa. Durante la mazza si preservavano le ossa non completamente spolpate : venivano tagliate e messe in salamoia nella bogia, a volte insieme ai prosciutti… Le ossa migliori sono quelle della schiena perché sono più gustose e la poca carne che rimane non ha troppi di nervi. Finché gli oss in bogia venivano preparati per conservare i resti, sulle ossa veniva lasciata pochissima carne. Da quando il consumo di carne non è più un lusso, gli oss in bogia sono diventati una pietanza che si continua a preparare per il suo valore culturale e non per necessità: le ossa usate sono quindi più fornite in carne.

Attualmente gli “oss in bogia” vengono preparati quasi esclusivamente da privati oppure da gestori di grotti che mantengono la tradizione e che in autunno li propongono ai loro clienti. Pochi sono i macellai-salumieri che producono “oss in bogia” e spesso lo fanno solo su richesta. Oggi per questa preparazione si usano generalemente solo le ossa della schiena, le zampe, il muso e la coda”.

Il sito, ma anche altri di privati ed istituzionali, dà indicazioni sulle cotture; ma ci fornisce anche notizie curiose, come quella che ricorda che “Nella Svizzera tedesca, il prodotto corrispondente agli oss in bogia è chiamato “Gnagi” : le parti della testa, i piedi, la coda del maiale vengono salate in salamoia per circa otto giorni; in alcune regioni si procede anche all’affumicatura. In Valtellina si mangiano gli “oss da ciun” (“ciun” significa maiale). La preparazione è molto simile a quella degli “oss in bogia”, ma gli ingredienti vengono fatti asciugare dopo la salamoia”.

Ad un piatto così saporito, da noi consumato in un’enoteca sul Lago d’Orta, ci abbiamo abbinato un vino a suo modo “barbarico”: il barbera (che sembrerebbe prendere il nome proprio dai barbari) d’alba doc 2010, biologico, Selezione “bricco san Bartolomeo” dell’Azienda Agricola Vigna Riccardo di Montà (Cn). Un vino esagerato per alcol e densità di profumi e sapori. Era infatti marchiato 15°, per cui sarà stato anche qualcosina in più. Al naso ricordava un porto, un insieme di profumi densi e assai attaccati l’uno all’altro in cui si “riconoscevano” alcol, marmellata di frutta rossa, caramello di frutta rossa, cuoio, spezie… in bocca era subito caldo e assai morbido, ma conservava una singolare freschezza… su un piatto grasso e assai rustico come gli “Oss” ci stava benissimo. Altri abbinamenti sono più difficili da immaginare, se non risolvendo il tutto con la nota pigra di “vino da meditazione”. Un vino impegnativo, comunque, da sorseggiare più che bere. Con gli “oss”, però, un paio di bicchieri sono volati via. Due “barbarie” a braccetto…

 

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