Quando torni da un viaggio, pensi che ti piacerebbe vivere lì, dove sei passato per pochi giorni lieti. Un altrove che tanti hanno nella loro testa: quando sarò in pensione, quando smetto con questo lavoro di m***a, quando saranno grandi i figli… fantasie corroborate da una stampa sempre pronta a parlare di chi ha “mollato tutto” per vivere in barca a vela, in un camper, in un rifugio montano, in un faro… Un curioso modo di vedere l’emigrazione: si emigra per diletto, cambio d’abito e non per miseria (chissà come si raccontano i giovani africani che affrontano deserti, banditi, acque… chissà?). Ed ogni volta che sento qualcuno fare questi discorsi, penso a “Lucianone” che da anni è scomparso. Conduceva una vita tribolata tra alcolismo e lavori saltuari di sala e quando ti approcciavi a lui subito ti diceva che lui, appena avesse potuto, sarebbe tornato a Capo Verde, dove aveva amici, lavoro e, sembrava dire, anche un amore. Non gli credevo o speravo dicesse il vero: mi dispiaceva vederlo così: solo, sempre arruffato, con figli ed ex moglie che non lo volevano vedere… ma forse era l’alcol a parlare per lui: no, non sono un fallito alcolizzato; no, non lascio che l’alcool sia tutto per me; no, davvero, ho un’altra chances… e intanto Capo Verde è rimasto là.
C’è Sempre Un Altrove (?)
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