La leggenda della pizzeria, dopo…

La leggenda della pizzeria dopo; del cliente che esce da un ristorante moderno, creativo, di lusso  e va a ”mangiare” in una pizzeria, perché non ancora sazio, è dura a morire. È priva di fondamento ma è pervicace. Te la raccontano un po’ tutti: qualcuno come affermazione apodittica, cioè non criticabile; altri come racconto occorso a qualcuno. Un qualcuno però che non si riesce mai ad identificare con esattezza: “me l’ha detto un mio amico… ci era andato un suo parente…è capitato a quel tale che l’ha raccontato al bar e lì l’ha sentito mio cugino…”. Come nelle canzoni di Elio e le Storie Tese, la leggenda metropolitana è dura a morire. E in questo caso ancor più, perché la ristorazione di qualità non è alla portata di tutti: non lo è per denaro (un costo medio è sui 100 euro) e non lo è per cultura (chiedete in giro e ricordate le polemiche televisive, vuote sulla cucina molecolare). Però è una leggenda e basta.

Qualche sera fa ero a cena al Magorabin di Torino, ristorante di buon livello, assai quotato e prossima stella (ne sono certo). Alla cena ero arrivato tardi, verso le dieci, perché prima ero impegnato in altro. Durante il giorno avevo mangiato: cinque biscotti a colazione; un tagliere, piccolo, di formaggi vari e due bicchieri di vino a pranzo; un amaretto ed una confezione di cioccolatini al caffé al pomeriggio. Tanto, poco? Per un omone come me, poco. Dunque, avevo fame.

Mi siedo a tavola cominciano a portarmi il piatto con il pane fatto in casa: pizzette, pane carasau, pane aromatizzato vario… con burro alle erbe da spalmare. Che fare? Li assaggio tutti, ovvio. Poi mi arriva uno stuzzichino di benvenuto: un rotolo di tonno, insalatina e verdure. Bicchiere di franciacorta ad accompagnare. Ordino il loro piatto simbolo, la Millefoglie di lingua di vitello e gamberi rossi con gelatina di mandarino. Un delizioso biscottone con dentro, ad occhio e croce, sette delicati gamberi crudi di Mazara del Vallo. Ottimo. La Millefoglie era adagiata in un piatto larghissimo e scenografico, che la faceva apparire (non essere, apparire) piccola. Poi ho ordinato la Finanziera rivisitata dallo chef: altro piatto bianco, largo e profondo che se lo giravi ti sembrava un Ufo. Ho contato ben nove cucchiaiate di questa densa, curiosa, popolare zuppa fatta con il quinto quarto di animali vari. Intanto mi avevano cambiato il pane ed io avevo assaggiato un raro bianco del 2001 Poderi Eiunaudi, un mix di tocai e pinot bianco. Sembrava un Borgogna con note minerali al naso e al palato. E poi un ghemme 2000 di Dessilani, una rarità, un ottimo rosso austero e piacevole che mi ha fatto pensare sui destini dell’umano agire. Ero pieno. Ma ho deciso di ordinare un dolce. E mi è arrivato un pre- dolce al cucchiaio, poi il dolce vero e proprio –un Soufflè al cioccolato gianduia fatto espresso- e delle incredibili friandies con il caffé (dei veri e propri pasticcini mignon. Una decina). Basta, ero pienissimo. Distillato per finire, fernet e via coi saluti e le chiacchiere con lo chef. Esco a mezzanotte e mezza e penso alla leggenda della pizzeria, dopo. Dall’altra parte della via c’era appunto un kebab-pizzeria, ma io mi sono ben guardato di andarci. Troppo, davvero, anche per un omone. Non sono "leggendario", ma reale.

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4 thoughts on “La leggenda della pizzeria, dopo…

  1. hai visto il film dei Monty Pyton, mi pare "Il senso della vita"?
    Ti ricordi insomma di quella scena del signore grassissimo che entra nel ristorante e per prima cosa chiede un secchio per vomitare? e poi alla fine mangia la mentina?
    Un vero schifo, anche per i più forti di stomaco!
    Comunque bello questo racconto di cibo, coinvolgente, quasi che mi sento sazia pure io!

  2. Io lo ero davvero. Sazio al punto giusto, perché poi dovevo guidare. Sì, ho visto il film… mi ricorda certi ristoranti dalle mie parti. Ce ne è uno che, se riesci a finire tutta la sbobba, ti regala il conto. Meglio digiunare!!!

  3. Si tratta di un ristorante molto concreto, al di là delle apparenze (la simpatia può essere scambiata con la leggerezza): bel servizio, classico, in sala. I camerieri, due, erano molto sciolti, cortesi, cordiali, in giacca vestiti… più la signlora, tre in sala. in cucina otto persone, fra cui cinque o sei apprendisti di vario livello (due stagisti stranieri). Attenti ai conti, duqnue, e alla sostanza dei piatti. Locale elegante, caldo, con attenzione ai particolari: bei piatti, bel tovagliato, bei bicchieri, decorazione sui tavoli… anche particolari: ombrelli ed occhiali da vista (per presbiti) a disposizione degli smemorati…. Bello il tutto. Non sono in grado di giudicare al millimetro la correttezza fra prezzo e contenuto, ma non ho visto nessuno andare via scontento. Io nemmeno. Due giorni dopo, in una pizzeìria di Jerago con Orago ho pagato una cifra, sì bassa, ma decisamente ingiusta. Sessanta euro per due pizze, due hamburger, un piatto di pasta in bianco, due birre piccole, una media e un’acqua. Quattro caffé. Lì ho sentito di non aver pagato il giusto. Dal mago rapitore di bimbi inappetenti no… Però non ho mangiato né tartufo (che pesavano in sala, comunque, e dichiaravano prima) né bevuto champagne (di cui avevavno ampia scelta)… No, penso di tornarci.

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