In un angolo o al centro?

In un angolo del Salone del Gusto, nell’anfratto chiamato Enoteca, in uno spigolo di una sala laterale, frigorifero nascosto fra i frigoriferi dell’Asti Spumante, segnato da un foglio scritto a penna, senza citazione nella lista dei vini, ma con la scritta (pure lei a biro e a mano) “due buoni”… stava un solitario frigo da vino con la scritta  “Velier Triple A”.

Stavo cazzeggiando nel casino dell’Enoteca con un noioso a rimorchio (noioso, perché non appassionato di vino; noioso perché voleva andarsene da lì e citava nozioni a caso per farmi capire –sbagliando e palesando- che sì si stava proprio divertendo); stavo cazzeggiando, sprecando costosissimi buoni per assaggi a caso, quando sono incappato in questo frigorifero nascosto fra quelli dell’Asti Spumante. Forse era lì per volere superiore, perché i sommelier nulla sapevano e per nulla sapevano consigliarmi. Sono andato a caso…

La Velier (velier.it) è un distributore nazionale specializzato anche in vini “naturali”, cioè di vini ottenuti o senza lieviti selezionati o senza chimica in agricoltura o senza interventi fisici o senza solforosa o senza o senza… Un nome importante, dunque, almeno per me. Distribuisce i vini targati “triple A”. Volete saperne di più? Leggete: “La maggior parte dei vini attualmente prodotti nel mondo sono standardizzati, cioè ottenuti con tecniche agronomiche ed enologiche che mortificano l’impronta del vitigno, l’incidenza del territorio e la personalità del produttore. La tandardizzazione sta generando vini simili in ogni angolo del pianeta, appiattiti nei caratteri organolettici e incapaci di sfidare il tempo. L’utilizzo della chimica nel vigneto e l’utilizzo dei lieviti selezionati in laboratorio sono le due cause principali di questa standardizzazione. I grandi vini, i vini emozionanti, sono frutto di un lavoro agricolo ormai quasi scomparso e di una vinificazione la meno interventista possibile. Il vigneto coltivato come un orto. Il manifesto dei produttori Triple A indica i criteri di selezione fondamentali che accomunano gli ultimi superstiti che producono vini degni di essere un mito come è sempre stato nella storia dell’uomo.

Manifesto dei Produttori di Vini Triple A: Agricoltori Artigiani Artisti. Ideato e redatto da Luca Gargano nel Luglio 2001. Questo manifesto nasce in seguito alla constatazione che buona parte dei vini attualmente prodotti nel mondo sono standardizzati, cioè ottenuti con tecniche agronomiche ed enologiche che mortificano l’impronta del vitigno, l’incidenza del territorio e la personalità del produttore. La standardizzazione sta generando vini simili in ogni angolo del pianeta, appiattiti nei caratteri organolettici e incapaci di sfidare il tempo. Secondo questo manifesto, per ottenere un grande vino, ad ogni produttore occorrono 3 doti basilari riassumibili nelle 3 A di:

• A come Agricoltori

soltanto chi coltiva direttamente il vigneto può instaurare un rapporto corretto tra uomo e vite, ed ottenere un’uva sana e matura esclusivamente con interventi agronomici naturali.

• A come Artigiani

occorrono metodi e capacità “artigianali” per attuare un processo produttivo viticolo ed enologico che non modifichi la struttura originaria dell’uva, e non alteri quella del vino.

• A come Artisti

solamente la sensibilità “artistica” di un produttore, rispettoso del proprio lavoro e delle proprie idee, può dar vita ad un grande vino dove vengano esaltati i caratteri del territorio e del vitigno.

Da queste considerazioni iniziali si ricava un decalogo, le cui regole devono essere rispettate da chi voglia produrre vini Triple A.

Il Decalogo dei Vini Triple A

I vini Triple A possono nascere solo:

– da una selezione manuale delle future viti, per una vera selezione massale.

– da produttori agricoltori, che coltivano i vigneti senza utilizzare sostanze

chimiche di sintesi rispettando la vite e i suoi cicli naturali.

– da uve raccolte a maturazione fisiologica e perfettamente sane.

– da mosti ai quali non venga aggiunta né anidride solforosa né altri additivi.

L’anidride solforosa può essere aggiunta solo in minime quantità al momento dell”imbottigliamento.

– utilizzando solo lieviti indigeni ed escudendo i lieviti selezionati.

– senza interventi chimici o fisici prima e durante la fermentazione alcolica diversi dal semplice controllo delle temperature. (Sono tassativamente esclusi gli interventi di concentrazione attuati con qualsiasi metodo).

– maturando sulle proprie “fecce fini” fino all’imbottigliamento.

– non correggendo nessun parametro chimico.

– non chiarificando e filtrando prima dell’imbottigliamento”.

Capito qualcosa di più? Io non ancora del tutto. Per cui, noioso sulla sinistra, gomito largo sulla destra, ho occupato “manu militari” una porzione dell’affollatissimo bancone, giocandomi buoni degustazione senza sosta. La situazione era paradossale: un frigorifero così, messo lì? Che fosse una candid camera? Non importa: ho assaggiato. Ma cosa ho assaggiato? I sommelier non sapevano nulla, io non conoscevo i vini, non mi lasciavano la bottiglia… ho sgorbiato alcuni appunti su un depliant della Tefal (fare patate fritte con poco olio, per esser precisi). Qualche nota e qualche nome: un tale produttore Muses, un tale Domaine Mosse Loira, Sure, Drazna, Maco… Vini rossi che hanno ancora asprezze, che hanno profumi accesi, anche un po’ di acetico, che in bocca si distinguono per carattere… i bianchi che sanno di mela, di minerale, di ossidazione… che asciugano la bocca, che sono freschi assai, che lasciano in bocca un sapore di verde, di pietra …Vini da ragionare, da riassaggiare, da rincontrare… Quel frigo non era lì per caso; non era in un angolo: era al centro della discussione.

"Non sono mai stato il servo di nessuno,

Nè ho mai avuto nessuno come servo,

Il vino, il grano

Mi sono bastati anno dopo anno.

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