Vineria vera o vineria falsa?

Quando un locale diventa una vineria e cessa di essere bar? Cosa serve per distinguere un’attività dall’altra? Le domande sono state stimolate da una mia amica che è andata in una nuova “vineria” a Verbania. Il fatto è che per lei non era una vineria, ma un bar travestito. Uno che “sfrutta la moda”. Oibò, chiedo… Perché dici così? “Mah, i vini al bicchiere erano pochi, altrimenti dovevi comprare una bottiglia… ed erano un po’ tutte care”. Ci sarà stata un’offerta del giorno, le bottiglie aperte segnate, di solito, su una lavagnetta? “Io non ho visto nulla del genere, ma forse non l’ho notato”. Beh, avresti: è la cosa più importante da comunicare. Avrai però goduto di un ricco buffet? “No, nulla di ciò. Quattro sciocchezze da solito bar”. Insomma, ti sarai fatta consigliare dal personale? “Ecco, la cosa più strana è che nessuno di quelli che ci ha servito sapeva nulla di vini. E che consigli ci avrebbero potuto dare? Mi sei venuto in mente, mi è venuta in mente la scuola alberghiera”. Davvero così scarsi? “Ma sì. Alcune sere fa sono stata in una nuova birreria ad Intra e lì le birre sono tutte esposte, costano più o meno la stessa cifra; quando scegli, i camerieri ti spiegano la rava e la fava… competenti insomma! Là, invece nulla…”. Vero, le birreria sono sveglie: mesi fa a Galliate, in una grossa birreria, alla mia richiesta di assaggiare una lambic, la cameriera mi ha chiesto se io sapessi di cosa si trattava. Le lambic sono infatti quanto di più distante dall’idea comune di birra e, per evitare inutili discussioni, la cameriera me lo segnalava. Si vede che il vino è tutto uguale (ah aha ahaah) e dunque non ha bisogno né di conoscenze né di competenze… Si vede, ma forse è meglio dire “si vedrà”: si vedrà quanto durerà un locale siffatto con tale modus operandi…

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