Scomparsi! Antichissime tracce di vini sul Lago d’Orta e Maggiore

Che sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, nel Cusio e nella bassa Ossola crescesse la vite e si facesse vino è storicamente documentato. Ma anche senza frequentare la storia, tracce di viti, più o meno curate, si trovano ancora ovunque. “Varrone – ricorda l’archeologa Elena Poletti Ecclesia in un suo studio – testimonia l’uso di meritare le viti ad una pianta, l’opulus (acero selvatico) di cui forse troviamo ricordo nel toponimo di San Maurizio d’Opaglio”. Furono la filossera e l’industrializzazione in primis a far abbandonare la produzione di vini; e poi la Piccola Era Glaciale che riguardò l’emisfero boreale da metà Seicento a metà Ottocento. Il terreno, prima ed oggi, sarebbe adatto. In Ossola infatti e nella zona di Varese hanno ricominciato a fare vino, piantando uve anche non necessariamente storiche, tipo il pinot nero.
Intorno al Lago d’Orta, nel Cusio, e sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, il Verbano, invece, pochi tentativi sono stati fatti. Fra cui uno di un imprenditore locale a Pettenasco. E poi tanti privati, ma per consumo personale. Rimangono comunque sul Lago d’Orta antichi vigneti, fra cui dei bellissimi tralci in riva al lago (a Ronco di Pella), mentre sul Lago Maggiore, nel Vergante, è ancora vivo il ricordo del Vino di Campiglia: un rosso uvaggio di nebbiolo, freisa e dolcetto che ebbe fama locale decine d’ani fa.

I Bruscit

In onore di questi vini rari e radi, un’antica ricetta comune all’Ossola e al Verbano: i Bruscit.
Molto simile poi a quella del Tapulone della vicina Borgomanero. Con l’utilizzo, naturalmente, del vino rosso. Comprate circa mezzo chilo di carne trita di cavallo o d’asino (si può usare, comunque, anche il manzo), una cipolla, alloro, vino rosso, burro, sale e pepe. Tritate la cipolla e soffriggetela con il burro; aggiungete la carne e fatela cuocere, salandola, pepandola e bagnandola con il vino rosso e aromatizzandola con l’alloro. Sul Lago Maggiore raccontano che fosse il piatto invernale delle lavandaie che, tornando a casa, si fermavano dal “mazzacavai” e comperavano la carne trita. Cucinata sul treppiede nel camino, era un piatto che ridava calore ed energia.

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