Molto di più che un ristorante (o forse no?)

Andare a mangiare al Pascia di Invorio (No) non è propriamente “andare al ristorante”. O almeno lo è in parte: si sta bene a tavola, comodi, si può parlare (ma a voce bassa, il locale è piccolo e la musica soffusa); si può mangiare bene, ma solo verdure: né carne né pesce. Fa capolino il formaggio, ma proprio poco. Per cui non è un ristorante vegano. Semmai vegetariano, se le categorie possono aiutare a comprendere.

Però poi viene al tavolo Paolo Gatta, lo chef, e ti spiega i piatti sottolineando alcune cose importanti e facili da capire: i prodotti sono del suo orto, biodinamico, che cura personalmente. E dunque ha una sua azienda agricola. Ciò che ancora compra (per esempio le farine integrali, il lino da cui ricava l’olio…) arriva da aziende biodinamiche che lui conosce ed apprezza; poi ti spiega che la verdura viene cotta al momento, quando il cliente entra in sala (e magari lo si è già sentito al telefono o via mail), cercando di interpretare l’essenza del cliente. I piatti sono calibrati per uomini e per donne. Sono tutti belli e ben fatti, con accostamenti arditi, ma leggeri, creativi a dir poco ma senza esasperazione… sembra di camminare in un bosco, con i profumi e i sapori che si mescolano per sinestesia, accostandosi piano piano per sfumature, delicati e delicatamente. Anche i vini proposti sono così, meno aggressivi per l’età, sfumati… Ma lo chef propone anche fermentati di sua produzione e cocktail analcolici di verdure e frutta… sembra che il vino e l’acqua minerale siano lì per abitudine, spettatori nella sequenza dei piatti.

Intanto lo chef inframmezza le portate con riferimenti alla medicina ayurvedica, alle dottrine olistiche steineriane e alla medicina cinese, al rapporto dell’uomo con le costellazioni… Scivoli in un mondo magico in cui lo chef crede, ed è sincero, e in cui tu fai fatica a riconoscerti. Ma forse tu, perché altri annuiscono. Paolo Gatta, a cui auguro il meglio, non sembra essere interessato alla fama, al successo, alla stella, piuttosto ad avere un nuovo rapporto con il cibo, con i clienti, con se stesso. Piace, anche se fai fatica a seguirlo.

Per noi che a tratti non crediamo rimane la bella impressione di una cucina vegetariana, sostenibile, piacevole, non riproducibile, apripista… Un locale “slow” con il piglio di uno stellato. Ma raro nel suo genere. Prezzo alto, ma non eccessivo se si calcola l’assenza di semilavorati e la produzione di tutto da parte dello chef e della sua piccola brigata (due): dal pane all’olio, dalle verdure ai legumi…

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