Ma quante strade e quali strade ha il cibo di strada?

Ma quante strade e quali strade ha il cibo di strada? Nelle mie non c’è, eppure riempie le piazze dei borghi vicino a me. Travalica le feste e le sagre di Paese per diventare esso stesso sagra e festa. La milza di Palermo o gli arrosticini, le olive o i panzerotti, la piadina o la focaccia… e poi birra, vino, musica e, appunto, festa. Una festa gestita da società a fini di lucro, non certo da pro loco o associazioni parrocchiali; un cibo di strada in eterno tour lontano dalle proprie strade, in strade altrui; in vie dove non è di casa e forse non è neppure più quello che era quando è partito. Sono gli stessi prodotti? Gli stessi cibi? O sono una loro versione foresta… un po’ come la cucina cinese da noi o quella italiana negli USA? Domande…

Altre domande: che cibi di strada ho qui intorno a me? Pochi. I gelati, ovviamente, ormai accettati ovunque anche in cono. Ma nessuno mai nei locali o nei negozi. Da seduti o da cammino lento, comunque; e poi i camioncini serali, lungo le strade, per un panino notturno: cipolla e salsiccia; e la pizza a fette mangiata dagli studenti, ma nei dintorni della bottega; idem per il kebap o kebab  che si consuma lì, dentro o appena fuori la etnica rosticceria. Più che “street food” si dovrebbe dunque parlare di “easy food”, senza tavoli sedie tovaglie etc etc… una pattuglia a cui si dovrebbero comunque unire i classici panini, le pop chips in sacchetto, i salatini, le caramelle, le “cicche”, i lecca lecca…

E poi c’è lo Street Food che diventa spettacolo, portando la storia di altre strade nelle nostre piazze. Una sarabanda circense che piace, che forse è sincera, ma che non promuove i prodotti del territorio, che non li propone sotto un’altra veste… e che poi, fatti due conti, se ne va via!

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