Oldani e la Cravatta

Davvero imbarazzante: io con un gruppo di allievi ad ascoltare lo chef Davide Oldani ad Arona, in Fiera, che presentava il suo ultimo libro (comprato assai dagli studenti che lui ha ringraziato); io che avevo detto ai ragazzi che lo chef mi sembrava uno un po’ casual, modaiolo e che, dunque, non serviva presentarsi in giacca e cravatta. Anzi avevo consigliato ad alcuni che sarebbero arrivati lì direttamente dalla lezione, di togliersela… e invece non l’hanno fatto.
E così, appena Oldani ha incominciato a parlare a subito tessuto l’elogio degli studenti in cravatta, della scuola che gli dà ancora delle regole (anzi, un po’ lasca, a detta sua, visto che non obbliga tutti ad avere la stessa cravatta!), del rispetto delle regole… Ed io che avevo pensato! Mai più pensare…
Ma cosa ha detto Oldani al pubblico giovanissimo presente? Ha parlato della sua cucina “pop”, accessibile, che toglie “perché è facile fare una buona cucina aggiungendo, oggi si deve togliere, usare la testa: fare una cucina leggera implica usare la testa… oggi si mangia meno, si cercano prodotti locali, di stagione, tutti i prodotti debbono essere valutati, rivalutati… non per niente la mia è una cucina “non regionale italiana”…”.
In realtà il grosso del breve incontro (lo chef doveva tornare in fretta fra i fornelli) è stato dedicato ai ragazzi, agli studenti (sia quelli con sia quelli senza cravatta), agli aspiranti cuochi con le parole d’ordine “sacrificio”, con metafore “una maratona e non una corsa a breve, si viene fuori alla media andatura”, richiami “la professione si capisce a 30 – 36 anni… quando si ricomincia dando un esempio invece di riceverlo”, incitamenti “tanto impegno e giù la testa”, consigli “fare piccole cose con grande amore” e “lasciate stare i social: lavorate e non postate!”.
Molte le domande degli studenti. E, maledizione, sempre e solo quelli senza cravatta! Ed io a farmi sempre più piccolo là, grosso, in seconda fila…
Ah, inaspettato chef, lombardo e concreto ancorché modaiolo!

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