La poesia della prosa

C'è una poesia anche nella prosa, quando il discorso ti apre uno scenario, di toglie le ragnatele della pigrizia dalla testa, ti regala la lucidità del sapere… Si apre una pianura, ti rinfreschi guardando il mare… E' successo anche a me, ieri, quando -durante la visita alla ditta Prega di Montù Beccaria, ho ascoltato le parole di Carlo Brega, ultima generazione di una famiglia di vignaioli dell'Oltrepò Pavese, Montù Beccaria a Zenevredo. Ma cosa mi ha detto? Ecco un estratto che del mio articolo che ho preparato per Scelte di Vino: “Non te l'aspetti l'Oltrepò così bello: colline, piccoli borghi, vigne a distesa, chiesette ed oratori. Però tanto acciaio, tante cisterne d'acciaio ovunque. Quasi un vilipendio al panorama, in realtà frutto di una scelta precisa. “Lo vede questo capannone -ci spiega infatti il giovane Carlo Brega, indicando il tetto su di noi- ce lo teniamo, perché la ha fatto mio nonno e poi sistemato mio padre. Ma oggi è inutile. Con le vasche d'acciaio termoregolate, posso infatti tenere tutto all'aperto. E ho un gran risparmio di costi: costruzione, manutenzione…”. Ecco risparmio, la parola che sentiamo ripetere spesso in questa improvvisa visita all'Azienda di Montù Beccaria (Pavia), frazione San Damiano del Colle, un settanta ettari fra lì e Zenevredo, accompagnati da Paolo Andreoli, agronomo. Risparmio perché “il nostro obiettivo è produrre con il miglior rapporto costo – qualità. Non parlo -argomenta con un po' di sofismo Carlo Brega- di produrre il miglior vino possibile, ma quello con il miglior rapporto qualità – prezzo. La migliore qualità al miglior prezzo”. Prezzo che nel loro caso lo fanno non tanto i ristoratori che si servono direttamente da loro (e a costi decisamente competitivi), quanto i grossisti, gli importatori, gli imbottigliatori altrui che comprano cisterne di vino. Ed ecco, dunque, la necessità di produrre abbattendo i costi del lavoro. “Vede quella collina là, dove stanno sbancando per piantare un nuovo vigneto -ci spiega il giovane produttore, facendoci notare una grossa “elle” marrone su una collina alla nostra sinistra- ecco, quel vigneto non lo vorrei neppure regalato”. Stupore: perchè?! “Perchè non può essere meccanizzato”. Ovvero? “E' troppo pendente per lavorarlo con della macchine”. E mentre ci parla, mostra orgoglioso un mezzo ponte, luccicante che “costa quasi come una bella Ferrari, ma mi rende di più”. Si tratta della macchina che l'Azienda usa per la potatura e soprattutto per la raccolta dell'uva. Ma come funziona? “Noi la usiamo da anni, oggi è però più sofisticata: usa il satellite per muoversi con esattezza fra i vigneti. Quattro persone mi fanno il lavoro di sessanta. Si lavora di giorno e di notte. Uno sul mezzo, uno al quadro comandi e due, dietro, con il trattore per svuotare mano a mano i cassoni della macchina pieni d'uva”. Vantaggi? “Economici. Si risparmia manodopera, si velocizza la vendemmia, si evitano problemi sanitari e problemi di sicurezza”. E il futuro? “No, è il presente di molte aziende… Ma avanti ci sono gli americani che operano già con mezzi senza guidatore, manovrati come un videogioco da un operatore seduto in ufficio e guidati in tempo reale da un satellite. Anche noi, il prossimo anno, cominceremo ad utilizzare i servigi del satellite -che paghiamo profumatamente ma che ci ripaga- ed arriveremo ad impostare il percorso della macchina in relazione al migliore momento di raccolta di certe tipologie di uva. Inseriremo i dati e la raccolta avverrà in fretta e con logiche di massima qualità delle uve”. I fautori della raccolta manuale, però, parlano un gran male della meccanizzazione. “Si vede che non la possono fare. O la fanno e non lo dicono. E poi, le leggende che dicono che la raccolta meccanica tiri dentro insetti, lucertole ed animali selvatici sono false: la macchina fa rumore, scuote il vigneto, fa scappare. E poi l'uva, prima di essere pigiata viene selezionata per togliere foglie e quant'altro”.

Tutto, insomma, va nella direzione dell'ottimizzazione dei costi, sul miglior rapporto qualità – prezzo. E i vini Brega come sono? Per certi aspetti facili, come il pinot nero vinificato in bianco, lo chardonnay, il pinot rosé e il riesling renano: un po' profumati, magri, freschi, beverini; idem per i vini rossi: il bonarda, la barbera, il sangue di giuda (dolce) e la croatina; per gli spumanti metodo charmat pinot e moscato; un po' più complesse le riserve… Ma stupiscono per la loro facilità di beva, il loro rapporto qualità – prezzo i due spumanti metodo classico, targati talento doc, che la Ditta produce da oltre trent'anni. In questo caso, con ampio uso di manualità sulle pupitre. Si tratta di due spumanti a base pinot nero e un venti per cento di chardonnay dai profumi puliti, dalla spuma fitta e freschi come si conviene. Più morbido il rosé, dove si avvertono profumi di ciliegia, di frutta rossa… buoni.”.

E pensare che, otto o nove anni fa, sono stato rimproverato pubblicamente dall'agente di un produttore di vino dell'Oltrepò che mi ha detto che nella loro zona nessuno usava la raccolta meccanizzata e che tutto veniva fatto manualmente (io, invece, avevo sentito il contrario). Quell'uomo o era ignorante e presuntuoso o voleva fare della poesia propagandistica: quella cioè che non vuole aprire la testa, farti ragionare… ma quella che vuol farti credere… roba da ignoranti illusi di sapere. Alla loro salute un bel bicchiere di Gran Montù Prega… alla salute! 

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